
Lifestyle
Lo stile di vita panozzo era, senza dubbio, fatto di capisaldi che - al pari di altre scene giovanili - facevano di socialità e aggregazione il loro fulcro. Piazze, portici, bar, fast food e discoteche tracciavano la geografia di una nuova gioventù edonista, tanto italiana nell’identità quanto americana nelle velleità e nel lifestyle. Nel lifestyle come nel guardaroba i paninari operavano incroci, quasi inspiegabili, di stili e influenze. Nei loro walkman si alternava la new wave dei Duran Duran e degli A-ha alla Italo dei Righeira o di Ryan Paris, il pop New Romantic dei Culture Club alle melodie di Gazebo, nel loro menù hamburger e patatine ma nella loro routine lampade e benessere. Il tutto sempre mantenendo un costante velo di appeal pop che contraddistingueva l’intera attitudine del movimento.
Alle sontuose Jeep per le gite nei resort di montagna, nei centri urbani si preferivano le motociclette tedesche Zündapp - un unicum nella storia delle scene giovanili - o Laverda spesso modificate con motore Zündapp. Invisi a tutte le altre sottoculture del tempo, i paninari incarnavano la società capitalista contro cui scagliarsi con rabbia in quelle giungle di anticonformismo giovanile militante che erano le strade e i portici d’Italia fino all’alba del nuovo millennio.
Le radici del tormentone Paninaro dei Pet Shop Boys del 1986 si ritrovano proprio in ciò. Durante una visita milanese del duo inglese per la promozione del disco West End Girls, Neil Tennant venne apostrofato - leggenda vuole - per il suo outfit colorato. Il cantante si incuriosì, fermò dei paninari in strada per chiedere chiarimenti, scoprendo una scena che, a sua detta, non sarebbe dovuta piacergli in quanto vicina a una sensibilità pop che non gli apparteneva, ma che in realtà lo sedusse per l’estetica nuova e dirompente. Tennant e Lowe, ammaliati dai paninari, dalla Italo Disco di Baltimora e dalla cultura del Belpaese fecero addirittura ritorno nel capoluogo meneghino per filmare il video del singolo, circondati da veri membri della scena.
1. LEGACY & HERITAGE
In un mare urbano di scene giovanili che si facevano influenzare e permeare dalle loro controparti straniere, i paninari hanno saputo rappresentare un unicum tutto italiano che, a sua volta, è stato capace di esportare - in tempi non sospetti - l’italianità nel mondo. Nell’identità borghese dei paninari, così come nel rifiuto di concepirsi come una sottocultura underground, si ritrova la capacità di questa scena di segnare profondamente la cultura pop degli ‘80. Ecco, allora, che ritroviamo Lucio Dalla - legato da un rapporto di amicizia con Massimo Osti - testimone C.P. Company, l’idolo Italo Disco Dan Harrow in total look paninaro, o ancora un insospettabile Paolo Maldini in felpa Best Company e sneaker Vans.
Il culto della figura del paninaro raggiunge, addirittura, la tivù, ovviamente sulle reti Mediaset. Il Gran Gallo interpretato da Enrico Braschi al programma cult Drive In era un’iperbole macchiettistica che cattura quanto, nel giro di pochi anni, il “paninaresimo” fosse già diventato un instant classic, un mito pop da cavalcare e spolpare. Tutti esempi che mettono in luce la duplice natura dei paninari: da un lato scena originariamente elitaria e geolocalizzata, dall’altra dilagante fenomeno di costume della cultura dominante. Un pattern che nella storia delle youth culture italiana ritroviamo altrimenti solo con il boom della Beatlemania dei Sessanta e con la trap dell’ultimo quinquennio.
Possiamo addirittura spingerci a sostenere che la loro disillusione e distacco dalla politica li rende sorprendentemente contemporanei, specialmente se rapportati all’enfasi attribuita alla moda da parte dei cluster giovanili di oggi: dai fedelissimi della drop culture ai tiktoker che si approcciano all’estetica delle sottoculture senza spirito di militanza alcuno. Però, la legacy tra le più importanti lasciate dai paninari sta nell’avere, seppur inconsciamente, dato vita ad un fil rouge con la subcultura Casual inglese degli anni ‘80, oggi tra i maggiori responsabili della rinnovata attenzione sull’estetica panozza nel mondo.
Gli ultras nerazzurri che frequentavano Piazza Liberty e San Babila, non furono dunque i soli a cogliere l’appeal dello sportswear e casual wear italiano anni ‘80. Similmente, i giovani tifosi britannici sfruttavano i viaggi Transalpino e le trasferte europee delle loro squadre per recarsi nel continente e fare razzia di capi da tennis Lacoste, Fila, Tacchini o pezzi C.P. Company e Stone Island, riadattandoli al mondo delle tifoserie. Nonostante i Casual fossero più esplicitamente sportivi nei loro outfit, in questi flirt a distanza con i paninari, più estetici che ideologici, nasce la fascinazione per la figura di Massimo Osti e per i pattern argyle, che dalle calze Burlington passano ai maglioni Pringle o Lyle&Scott.
Saranno poi i Pet Shop Boys e la loro Paninaro a esportare il fenomeno oltremanica, sancendo definitivamente l’adorazione dei Casual, e non solo, per l’iconografia paninara. Nel 1987, infatti, l’edizione inglese di i-D in un editoriale sulle nuove tribù urbane di Londra dedica due pagine ai British Paninari, una meteora dell’universo sottoculturale inglese. Nello stesso servizio ritroviamo anche i Brash Pack, un ibrido di stili in cui convivono elementi tipici dei Pet Shop Boys, come il cappello da marinaio, e dei paninari, ovvero jeans con toppe, cinture con fibbie imponenti, giacche da campus, capi firmati e scarpe sullo stile delle Clarks Wallabee.
Una fascinazione che oggi trova riscontro in continui crossover tra il mondo del fandom calcistico britannico e l’heritage dei paninari, ma che prosegue anche nell’alta moda, con l’uso che nell’ultimo quinquennio la scena trap e hip hop ha fatto dei piumini, da quelli North Face (anche in collaborazione con Gucci) a quello disegnato da Kanye West per Yeezy x Gap. E ancora, il rilancio di Moncler passato anche per il piumino arancio indossato da Drake nel video di Hotline Bling, a sua volta diventato un caposaldo dell’iconografia memetica. Per non parlare, poi, della rinnovata popolarità cross-generazionale di brand come Stone Island e C.P. Company.
NASCE LA FASCINAZIONE PER LA FIGURA DI MASSIMO OSTI E PER I PATTERN ARGYLE.
2. CINEMA
Come per ogni teenager degli anni ‘80, anche per i paninari il cinema ricopriva un ruolo importante. Non solo intrattenimento popolare, ma soprattutto cassa di risonanza di trend. Al pari della moda, il cinema ‘paninaro’ può, infatti, essere suddiviso in più filoni. Da un lato ci sono quei film come Top Gun di Tony Scott (1986) che, pur non avendo nulla a che fare con i ragazzi in Moncler e Timberland, furono adottati in virtù di un’estetica e di valori percepiti come vicini a quelli dei paninari. È il pilota d’aereo Pete "Maverick" Mitchel interpretato da Tom Cruise a lanciare la moda del giubbotto Schott coperto di toppe della Avirex e dei Ray Ban Aviator.
Dello stesso anno è, invece, un'altra pellicola iconica per la scena (e per i cultori del cinema di serie B): Sposerò Simon Le Bon. Il film di Carlo Scotti, tratto dall'omonimo romanzo di Clizia Gurrado, rappresenta il rovescio della medaglia rispetto a Top Gun, ovvero un’opera pensata per monetizzare sulla moda paninara. Un film di genere che riattualizza i musicarelli dei Sessanta, raccontando la smodata - e quasi macchiettistica - passione dei giovani del tempo per i Duran Duran. A catturare lo zeitgeist della scena nella maniera più efficace sono, in realtà, pellicole non esplicitamente paninare, dai cinepanettoni ad altri classici della commedia italiana come Yuppies - I Giovani di Successo (1986) o Italian Fast Food che lancia sul grande schermo la figura del Gran Gallo interpretato a Drive In da Enrico Braschi.
Nella loro spietata osservazione dei costumi e dei vizi della società italiana degli ‘80, i Vanzina non possono esimersi dall’inserire nei loro film reference estetiche e linguistiche che paninari e yuppie avevano introdotto nella cultura pop del tempo. Dalle musiche di Vacanze di Natale (1983) - che riprendono quelle delle compilation Mixage della Baby Records gettonatissime tra i paninari - ai fuoristrada Jeep, altro status symbol dei Galli, passando inevitabilmente anche per l’abbigliamento. È interessante notare la transizione della moda paninara nel giro di sette anni, dagli sgargianti piumini del primo, storico Vacanze di Natale alla deriva rockabilly del pan look di fine decennio in Vacanze di Natale ‘90, come testimoniato dallo stile di Christian De Sica con giacca di pelle nera, lupetto viola pastello e ciuffo impomatato da revival dei ‘50.