
Che cosa ne è stato del grunge? Indagine su un trend al di sopra di ogni sospetto
In questi giorni, in seguito al successo di The Batman di Matt Reeves ai botteghini di tutto il mondo, Spotify ha registrato un enorme aumento del 1200% degli stream di Something in the Way dei Nirvana, canzone che fa parte della colonna sonora del film. Il fenomeno è abbastanza naturale in realtà, ma evidenzia comunque la profonda fascinazione che il mondo della cultura pop e il suo pubblico provano verso il grunge degli anni ’90. Tre settimane fa, tra l’altro, il genere grunge ha fatto parlare di sé quando a due giorni di distanza si è celebrato il 55esimo anniversario dalla nascita di Kurt Cobain ed è stata diffusa la notizia della morte di Mark Lanegan, leggendario pioniere del genere. Sempre durante le scorse settimane, nel corso del fashion month, la stampa di moda ha usato (e abusato) della parola grunge per riferirsi agli show di AC9, di Philosophy di Lorenzo Serafini, di Coach e anche di Louis Vuitton e Miu Miu. Persino Chiara Ferragni si è vista affibbiare l’epiteto di “grunge” per il semplice fatto di essersi presentata allo show di Balenciaga con uno spesso di strato di eyeliner e un trench oversize. E proprio come la stampa ha iniziato a usare quel termine come un generico portmanteau (secondo SkyTG24, ad esempio, stivali pitonati e un abito in pelle color cachi sarebbero grunge), le nuove generazioni su TikTok (dove l’hashtag “grunge” possiede 4,1 miliardi di views) hanno iniziato a identificare come “grunge” lo stile di qualunque subcultura, dai punk e i mall goth degli anni ’80 agli emo dei primi 2000 passando anche per lo stile dei famigerati metallari e degli hipster. Ma se tutto è grunge, allora niente è grunge.
Ma allora cosa ne è stato del grunge? La rabbia di una generazione di musicisti è stata appiattita a semplice moodboard o il senso di ribellione insito nel genere è sopravvissuto oltre i suoi esponenti? C’è da dire, in effetti, che le tattiche scioccanti impiegate da Kurt Cobain e compagnia appaiono meno ribelli adesso – se vedere Cobain vestito da donna faceva scandalo trent’anni fa oggi la fluidità è un requisito quasi obbligatorio per i brand di moda. E questo è solo un esempio. D’altro canto non si può nemmeno parlare di un distaccamento completo tra i due mondi considerati i molti e interessanti risultati che i designer nel tempo hanno ottenuto. È chiaro che qualcosa, nel vocabolario visivo del grunge, parla ancora al pubblico e alle nuove generazioni. Il nodo è dunque di una natura più astratta: il grunge ha un’estetica così facile da ricopiare proprio perché i suoi esponenti non s’interessavano dell’estetica – il loro era il fascino degli emarginati e degli esclusi, che non avrebbero mai aderito al meccanismo di validazione psicologica alla base dell’intero sistema-moda.
Il conflitto è dunque valoriale e contrappone, da un lato, il desiderio di attingere alla edginess del genere grunge per fini commerciali e, dall’altro, la dichiarata anti-commercialità del genere stesso. Un paradosso che, al suo interno, la moda vive usando parole come “disruptive”, “revolutionary”, “transgressive” e “anarchic” ma specificando un minuto più tardi di non propugnare la ribellione vera, figurarsi, ma solo la generica patina di coolness che a essa si associa. Un paradosso che, ad esempio, si esprime nella vendita di t-shirt che riproducono il merch dei Nirvana a prezzi astronomici e che Isaac L. Davis ha descritto in un articolo su Archive PDF parlando della collezione grunge di Perry Ellis:
«La collezione mancava degli elementi sovversivi del grunge, in particolare la sfida delle norme di genere, e la volontà di essere scioccante. […] Ciò che rendeva lo stile grunge così potente all'inizio era la sua opposizione alle tradizionali norme di genere americane e ai cicli capitalistici di consumo. Al posto di questi concetti tradizionali americani, lo stile associato al grunge offriva il do-it-yourself, capi riciclati insieme a un completo rifiuto delle tradizionali norme di genere. In questo modo, la sfilata […] si dimostra un eccellente esempio di ciò che di solito accade quando i designer si appropriano di stili ed estetiche di varie culture. Il designer copia le forme della sottocultura da cui sta prendendo idee, senza effettivamente catturarne l'essenza».