Dopo la pandemia stiamo davvero fumando tutti di più? In breve: sì – ma la questione è leggermente più complicata

Di recente, il The New York Times ha pubblicato un articolo di nome That Cloud of Smoke Is Not a Mirage, composto da una serie di brevi interviste a studenti e resident della Grande Mela, che raccontavano in prima persona come, dopo la pandemia, fossero tornati a fumare sigarette. La cosa non deve stupire: se in Italia fumare sigarette è qualcosa di molto comune, negli Stati Uniti la percentuale di fumatori nella popolazione era scesa al minimo storico del 14% durante il 2019. Risultato di una serie di politiche e di una considerazione sociale che avevano fatto del fumo un vizio trashy, malsano, pericoloso e inquinante – un tipo di considerazione che anche in Italia inizia ad arrivare timidamente con, ad esempio, il divieto di fumare alle fermate dei mezzi pubblici imposto dal Comune di Milano e il lento ma costante rialzo dei prezzi del tabacco. Eppure, in Italia così come a New York, le statistiche parlano chiaro: la pandemia ha riacceso il problema di tabagismo tra le nuove generazioni.

Da uno studio del 2020 della Fondazione Veronesi, ad esempio, svolto su un campione «statisticamente significativo» di ragazzi tra i 15 e i 19 anni, è emerso che il 42,5% sono fumatori mentre l’Istituto Superiore di Sanità ha calcolato che nel 2021 in Italia c’erano 1,2 milioni di fumatori in più rispetto al novembre del 2020. Anche nel Regno Unito si è registrato un aumento del 27% di fumatori nella fascia di età tra i 18 ai 34 anni così come negli Stati Uniti mentre l’hashtag #cigarette su TikTok sfiora a oggi la soglia di 819 milioni di views. Riferendosi a uno studio pubblicato sul Lancet, comunque, la rivista Health Desk scrive: «La percentuale di fumatori rispetto alla popolazione generale potrà anche essere diminuita in confronto agli anni precedenti ma, data la crescita demografica, il numero assoluto dei fumatori è aumentato».

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In sostanza, si può dire che la coscienza sociale non è ancora riuscita a conciliare ciò che sa sulle sigarette e ciò che sente per le sigarette. I dati sono abbastanza chiari: una media di otto milioni di morti l’anno, che significa che una morte su sette è dovuta al fumo, in pratica lo stesso numero di morti causate dalla Guerra dei Trent’anni ogni dodici mesi – e questo senza contare le altre ricadute sulla salute e sull’ambiente. Dall’altro lato, però, è innegabile che i fumatori esistono e che soprattutto aumentano, e anche che secondo i calcoli di Statista l’industria del tabacco ha un valore globale complessivo di 812 miliardi di dollari e, secondo Reportlinker, supererà i 900 miliardi entro i prossimi quattro anni. E forse è proprio per questo che la sigaretta ha conservato negli anni la sua aura controculturale – diventando cioè il principale terreno di scontro tra i valori e la filosofia del progressismo politico e quelli del mercato capitalistico.