
E ora che succederà a Moschino? Proviamo a immaginare il futuro del brand dopo un decennio di Jeremy Scott
È un po’ come dopo un break-up: una storia d’amore è durata così tanto che, alla sua improvvisa fine, non è possibile concepire una realtà precedente al suo inizio. Così Jeremy Scott ha annunciato il suo addio a Moschino - un addio per cui, diciamolo pure, i tempi erano abbondantemente maturi. Rimane da capire cosa farà il brand adesso. L’ipotesi più scontata è facile da immaginare: viviamo in tempi in cui la moda spiritosa, pop e colorata non è popolare, la persone sono affamate di realtà, di concretezza, di certezze. In questa nuova era i colori neon, gli orsacchiotti, i cuoricini e tutto quell’armamentario infantile e stucchevole di simboli e loghi non solo hanno stancato, ma sono anche profondamente inattuali. La prossima virata che dobbiamo aspettarci, dunque, sarà non tanto verso il minimalismo (nè il brand è mai stato minimalista nè Scott ha interpretato male lo spirito del founder) quanto una maggiore sottigliezza e rimandi più precisi a un archivio che, nella sua surreale unicità, è difficile da tradurre in maniere troppo commerciali. Se i design di Scott erano in certi casi più appariscenti che eccentrici, è difficile incasellare e riprodurre per i nostri tempi il gusto per il pastiche post-moderno di Franco Moschino – non di meno, è molto probabile che il rinnovamento upscale del brand passi attraverso un linguaggio meno dipendente da loghi e grafiche e da uno sguardo più attento all’archivio.
Fra tutti i brand nati in quel tratto di anni ’70 e ’80 in cui si sviluppò la moda italiana come la conosciamo, in effetti, Moschino è uno dei principali superstiti ma anche un marchio che, nel corso degli anni, si è relegato in una nicchia un po’ stretta del mercato piena di capi logati, colori caramellosi e di un vibe un po’ kitsch. Nel marasma di brand tamarri iper-logati e iper-variopinti degli scorsi anni, lo spirito originale di Moschino si era forse un po’ perso, il suo heritage era diventato anche troppo pop perdendo in preziosità ed elevazione – malgrado gli sforzi di Scott che in certi casi erano davvero validi. Ma chi aspira a indossare Moschino oggi? La clientela più ricca del mondo vuole davvero magliette con i personaggi dei cartoni animati, grandi cuoricini e loghi a lettere cubitali? Questa è la domanda che il prossimo direttore creativo dovrà porsi. La questione cruciale di ogni brand, oggi, in un mercato così iper-saturo, è quella di suscitare desiderio e diventare aspirazionale, promettere un lifestyle e farci sentire parte di una narrativa e una continuità più grande – e tutto ciò per sedurre quella audience che durante la glaciazione dei consumi sarà ancora in grado di spendere ma vorrà investire in pezzi dotati di effettivo e intrinseco valore. Stranamente, la sovrabbondanza di moda old money, in un periodo in cui anche Versace e Dolce & Gabbana hanno placato la propria sete di corone, fregi barocchi e paillettes, crea per il potenziale, nuovo Moschino uno spazio libero in cui svilupparsi e definire una nuova e più matura identità.