
L’estetica riduzionista della collezione SS23 di Raf Simons Minimalismo, ma con un twist
Per il suo ritorno alle passerelle, dopo lo show digitale FW22 dello scorso febbraio, Raf Simons ha scelto il celebre club Printworks di Londra dove la audience, rimasta in piedi, ha visto i modelli solcare una strettissima passerella sul ritmo minaccioso di una martellante musica techno. La passerella, così angusta che nel finale le spalle dei modelli si sfioravano muovendosi in direzioni opposte, pareva la metafora di una collezione che ha asciugato e ristretto l’estetica del brand all’inverosimile, eliminando il suo stratificato, studiatamente caotico citazionismo, e sostituendolo con un lavoro di semplificazione i cui esiti finali, sugli abiti, diventavano quasi surreali. Il tema della riduzione si manifestava in maniera più palese nella maniera in cui blazer e camicie erano tagliati trasformandosi in smanicati, gilet o canottiere dagli orli vivi - tutti elementi di un layering ipersottile che preferiva adattarsi al corpo che ricoprirlo o alternarne la silhouette come facevano, ad esempio, i monumentali maglioni e cappotti delle passate collezioni. Altrove, top decorati dalle scritte a mano dell’artista belga Philippe Vandenberg, autore di opere scabre e torturate che raccontano con asciutta brutalità la condizione umana, erano come crudi pannelli di stoffa trasformati in top e lunghi abiti dalla linee pure.
La presenza insistente dei leggins che sostituiscono in molte istanze i pantaloni richiamano una club culture figlia di quell’indie sleaze anni 2000 che, attraverso la lente alienante e nostalgica di Simons, semplificano e minimizzano ulteriormente i look. E se da un lato la combinazione di leggins e top a rete richiama l’uniforme da party della club culture Y2K, con i colori fluo che strizzano l’occhio al mondo dei rave; dall’altro emerge un anarchico senso di bon ton nella sovrapposizione di camicia e maglione di lana che, nell’orlo inferiore, si estende in un lembo di lana che ricorda un body slacciato – più avanti, maglioni smanicati paiono indossati al rovescio e al contrario, con l’etichetta di Raf Simons che si trova appena sotto il collo, sul davanti. La collezione, che si apre con tre look sgambati e semi-trasparenti, si chiude poi con la severità e l’asciuttezza di cappotti e tailleurs di lana grigia, al di sotto della quale, oltre i leggins, si percepiscono corpi nudi – sono i due lati della semplicità radicale ricercata da Simons: da un lato l’anarchia della riduzione estrema degli abiti a seconda pelle e colore, dall’altro l’asciuttezza quasi astratta di una tradizione al di sotto della quale si sente pulsare una vita.