
Lo "splash" di Jacquemus alle Hawaii Lo show più Jacquemus-iano di sempre?
Una lunga passerella di legno che si estende sulle sabbie di Moli’i Gardens, a nord di Ohau. Il sole che tramonta nel Pacifico, le palme, l’assoluta e serafica quiete. Lo show di Jacquemus alle Hawaii, di cui il pubblico ha seguito lo svolgimento quasi in tempo reale (incluso un improvviso acquazzone che ha creato un ritardo ma anche permesso ai vari ospiti e modelli di scattare molte e suggestive foto per Instagram) è stato, in linea col suo nome ufficiale, un vero le splash. Lo show è stato, in effetti, una specie di spin-off della campagna scattata per Jacquemus da Tom Kneller sull’isola ma è stato anche fortemente voluto da Simon Porte Jacquemus che «desiderava visitare le isole da lungo tempo». Prima dello show effettivo, almeno dall’emisfero del mondo in cui ci troviamo, è giunta voce del suo incredibile after party sulla spiaggia, le cui foto sono state condivise in un reportage di Vogue in tutta la loro Jacquemus-iana gloria. Sempre prima di vedere la collezione effettiva, il pubblico ha anche visto l’eclettica lista di personalità invitate, per ragioni di distanza geografica e sostenibilità, dall’area Sud-Pacifica e dagli Stati Uniti e che includeva SZA, Jennie Kim delle Blackpink, Amine, Nicole Scherzinger, Daniel Caesar, Don Toliver oltre che celebrity delle Hawaii come Evan Mock, Bretman Rock, Mahina Florence e Ha’a Keaulana.
Arrivato a questo punto della sua vita, essendo un brand ormai già stabilito, Jacquemus ha raccolto in uguale misura ammiratori e detrattori. E questo show ha mostrato come ormai, nella moda, esistano sempre più profonde spaccature tra una moda disimpegnata ed escapistica e una impegnata e missionaria, tra una moda avant-garde e “difficile” e una indossabile e “facile”. Coloro che pretendono che la moda possa essere soltanto una cosa, che giudicano etica e intenzioni prima dei vestiti, e che nel valutare una collezione ne cassano sbrigativamente i prodotti paragonandoli a quelli di brand controversi e di qualità molto più bassa, potrebbero forse scendere dal loro alto destriero e abbandonare il loro atteggiamento un po’ blasé di cui al mondo, oggi, non c’è davvero bisogno. La moda non è solo politica, né impegno – la moda può essere anche una gita in spiaggia, la storia di un viaggio, l’atmosfera remota di un arcipelago dalla bellezza mitologica. Fa tutto parte della narrativa di un brand di moda – che non è un ente di beneficienza no-profit (anche se il brand ha condiviso multipli link dedicati alle donazioni per la guerra in Ucraina), né un’istituzione culturale tenuta a pontificare sul mondo e sulla società. Abiti e accessori di lusso sono beni voluttuari, non bisogna dimenticarlo. E dunque ben venga l’escapismo. L’intellettualismo, dopo tutto, è il veleno dell’arte.