
La storia di Dimensione Danza Il brand italiano diventato fenomeno di costume (anche grazie a Maria De Filippi)
Nell’unico anno di scuola di danza moderna che ho frequentato, coronato da un saggio imperdibile nel teatro comunale, c’era una cosa che accomunava tutte le bambine che frequentavano il corso con me, ma anche quelle che venivano nella mia stessa scuola elementare o che vedevo in giro. Avevamo tutte, ma proprio tutte, almeno una maglietta di Dimensione Danza, chi era più fortunata anche un paio di pantaloni - mi ricordo ancora il paio che ricevetti a Natale quell’anno -, mentre chi voleva fare il simpatico comprava le imitazioni del mercato che recitavano Dimensione Panza.
Come è accaduto spesso ad altri brand di matrice italiana dell’inizio degli anni Duemila, come Sweet Years, Guru o A-Style, la fama di queste realtà diventava nel giro di pochissimo enorme, si trasformavano in dei veri e propri fenomeni di costume, una popolarità che può essere paragonata solo allo streetwear di oggi. Le T-shirt, le felpe, i pantaloni, le tute di Dimensione Danza, soprattutto dopo che il brand diventò lo sponsor ufficiale di Amici di Maria De Filippi, costituivano un vero e proprio codice estetico condiviso da una generazione, quella dei Millennial, per cui la tuta iniziava ad avere un significato ben preciso al di fuori dell’ora di ginnastica e soprattutto diventava un look da sfoggiare non solo per fini sportivi.
Tentare il rilancio di brand che in un particolare momento storico e per ragioni spesso ignote - forse per un fortunato allineamento di pianeti - avevano conosciuto un successo eccezionale, è un’operazione ardua, spesso fallimentare. Provare a riportare al successo Dimensione Danza significherebbe far rivivere quell’esatto periodo storico in cui il brand è esploso, una soluzione impossibile che deve confrontarsi con un mercato, italiano e non, oggi saturo di collezioni e marchi sportswear, a cui non basta un ricco passato di cui potersi fregiare per poter reclamare una quota di popolarità.