
Come si vestono le serie tv italiane Un po’ castigate e spesso senza brand
Il lavoro del costumista è molto delicato: lo stile di un personaggio, sia al cinema che in tv, è importantissimo per raccontare qualcosa della sua storia. Negli ultimi anni, alcune serie hanno proprio dettato moda: titoli come Love e Top Boy su Netflix, Fleabag su Prime Video, Euphoria per HBO fino all'ultima Normal People su Hulu hanno raccontato i Millennial con estrema precisione anche grazie a una cura particolare riservata ai costumi (la hoodie che indossa Zendaya in Euphoria di recente è stata messa all'asta sul sito della A24).
Se si pensa all'Italia, invece, viene un po’ da ridere, perché tutti i personaggi si vestono sempre uguale: castigati e dal sapor democristiano. Le serie tv italiane soffrono tutte dello stesso difetto: per quanto provino a replicare la realtà, spesso non ci riescono e finiscono per rappresentare una versione sbiadita della realtà. Soprattutto per quanto riguarda i teenager, nelle serie italiane si vede una generazione vestita sempre uguale, che perde il gusto per la moda e la passione per i brand, che si tratti di una tee di Supreme o di un paio di Air Max. In effetti, i grandi assenti sono proprio i brand, come se non esistessero anche nell’armadio delle persone più comuni. Ma come insegna Favolacce dei fratelli D’Innocenzo, anche il più ottuso padre di provincia ha le polo di Fred Perry.
Le logiche dietro ai costumi in una serie tv in Italia sono abbastanza limitanti. La presenza di un brand è spesso legata a uno sponsor e quando manca la scelta ricade quasi sempre su un archivio di vestiti generici di fast fashion a cui è stata tolta l’etichetta. La tv generalista poi ha moltissime limitazioni e spesso i costumisti scelgono capi senza loghi per evitare ripercussioni fastidiose. La conseguenza è “appiattire” il personaggio, ma per le produzioni va bene così, anche in virtù di una certa edulcorazione per non “scandalizzare” il pubblico della tv.
"La premessa fondamentale è che noi costumisti da anni non abbiamo più la possibilità di collaborare con i principali brand di moda per importanti e insormontabili limiti contrattuali", ha dichiarato Isabelle Caillaud, rappresentante della A.S.C. (Associazione Scenografi Costumisti ed Arredatori Italiana); "Nella maggioranza dei casi, noi non possiamo assolutamente proporre capi con loghi evidenti e nemmeno scritte associabili ai brand, pena, in qualche caso la contraffazione (di fatto) di tutto ciò che risulti evidente in post-produzione (con annesso un costo extra per la produzione). In più, i budget a nostra disposizione ci impediscono spesso di acquistare proprio quei capi must, magari necessari per raccontare un ambiente sociale. Con particolare riferimento alle serie a tema teen, la richiesta che ci viene fatta è di frequente quella di sfumare, di attutire tutti gli elementi di trasgressione più rappresentativi."
Negli ultimi tempi anche in Italia c'è stato anche chi ha rinunciato al product placement per una rappresentazione realista: Ultras di Francesco Lettieri, per esempio, è pieno di loghi riconoscibili, nessuno dei quali è sponsorizzato. Il discorso potrebbe essere allora diverso per Netflix, se non fosse che tutte le produzioni di Netflix Italia sono co-produzioni, distribuite in tutto il mondo dalla piattaforma ma affidate a case italiane (spesso Cattleya). Non importa, quindi, che Benedetta Porcaroli sia nell'esercito di Alessandro Michele: il suo staff può presentare alcuni outfit Gucci, ma se non vengono accettati non c’è niente da fare.
"È singolare che proprio Netflix, oltre a Rai e Mediaset, pongano condizioni tra le più restrittive senza stanziare, per i progetti italiani, gli stessi budget delle serie prodotte in altri Paesi", ha continuato Caillaud; "Ovviamente tutte queste limitazioni hanno prodotto una decisa diminuzione d’interesse da parte dei marchi moda nei confronti delle serie italiane, non ricevendo granché come riscontro in cambio delle loro creazioni, spesso costose."
In generale, il lavoro del costumista è molto più libero al cinema che in televisione. È italiana, infatti, una delle costumiste che ha vinto più Oscar®: Milena Canonero, premiata per il suo lavoro in film come Barry Lindon di Stanley Kubrick, Marie Antoinette di Sofia Coppola e Grand Budapest Hotel di Wes Anderson. La serialità, purtroppo, è ancora lontana da questi risultati. Per digerire la delusione, per fortuna arriva Netflix a tirare su il morale: da venerdì 15 maggio è disponibile sulla piattaforma la quarta stagione di Skam Italia. Chissà, a questo giro, che scarpe indosseranno.