
Roma Cult Files: Pizza Hype Il collettivo di reselling formato da Carlo Bartolomucci, Silvio Gianmarco e Alessandro Tanzi si racconta
E’ notte fonda, mi trovo in una location segreta nel cuore del quartiere Africano a Roma, sede del collettivo di reselling Pizza Hype.
Alcuni degli item e delle sneakers più hype del momento invadono la stanza. Ad accogliermi ci sono i tre fondatori del collettivo: Carlo Bartolomucci, Silvio Gianmarco e Alessandro Tanzi. I tre ragazzi appaiono diversissimi dall’idea che oggi comunemente si ha del reseller. Niente pezzi rari o costosi addosso, un’attitudine più punk che fashion e molta voglia di raccontarsi con ironia. Ognuno dei tre ha una personalità ben distinta. Carlo è il motivatore e l’elemento trainante, Silvio è carismatico e casinista, Alessandro è l’uomo d’affari. Questo equilibrio funambolico e a tratti precario è però capace di sprigionare un’energia travolgente, che si avverte nell’aria. Questi tre ragazzi, in poco tempo, sono stati capaci di dare vita ad una delle realtà di reselling più interessanti e riconoscibili della penisola.
Decido quindi di immergermi nel loro mondo, nel loro speciale modo di vedere le cose. Sarà una lunga notte…
#1 Com’è nato Pizza Hype?
CB: Stavamo seduti in un bar, in stato di palese alterazione, tanto da pensare che una Yeezy su una pizza fosse una buona idea.
SG: Io non me la ricordo così… stavo sulla tazza del cesso, parlavamo al telefono di quello che ci eravamo detti la sera prima sull’aprire o meno un sito di resell. Siccome non eravamo ancora sicuri di come potesse venire vista dall’esterno un’idea simile, ho pensato che si poteva aprire un finto blog, per poi iniziare a resellare. Da lì è venuta fuori la pagina Instagram con il primo logo (orrendo) con la Yeezy e la Pizza.
AT: Io mi sono aggiunto qualche mese dopo, quando uscirono le Beluga.
#2 Da quanto siete in attività?
All’incirca un anno.
#3 Com’è nata in voi la passione per le sneakers e lo streetwear?
SG: Parlo per me, io ho iniziato con la roba da skate. Poi mi sono fissato con i marchi indipendenti inglesi semisconosciuti che stampavano su Gildan. Sono sempre stato più interessato alla cultura dietro le cose e all’aspetto artistico, diciamo. L’hype non mi ha mai interessato.
CB: Mio padre surfava, quindi per me l’inizio è stato l’abbigliamento da surf. Poi ho cominciato ad ascoltare sempre più Hip Hop e da lì mi sono interessato sempre di più al mondo sneakers e streetwear, fino a farlo diventare un’ossessione.
AT: Io ammetto di essermi incuriosito quando ho capito che dietro a questo mondo potevano esserci prospettive di guadagno. Poi però è nata la passione, perché senza quella i risultati non sono difficili da ottenere. Bisogna amare quello che si fa.
SG: Non resellavate se vi vestivate Abercrombie! (Ride)
#4 Qual è la filosofia di Pizza Hype?
CB: Fondamentalmente tirare avanti, facendo più cose possibile. Compriamo tutto quello che possiamo per garantire sempre una selezione vasta. Spesso ci sentiamo molto poveri per questo.
AT: Spesso rinunciamo a qualcosa di nostro per far crescere Pizza Hype. Non ci pesa.