
Mickey 17 è il film stropicciato di Bong Joon-ho E proprio per questo è in grado di incuriosire
La domanda che fanno in continuazione a Mickey è: cosa si prova a morire? In realtà il quesito di fronte a cui ci mette Bong Joon-ho è un altro. Non si tratta di come e cosa si prova quando si muore ciò che vuole spiegare Mickey 17, ritorno dell’autore coreano sul grande schermo, ma è come si fa a riuscire a sopravvivere. Tratto dal romanzo Mickey7 di Edward Ashton, il film con Robert Pattinson vede il protagonista classificato come Sacrificabile, ovvero coloro che accettano di morire per il bene della scienza e della scoperta per poi venire ristampati esattamente come erano prima, con tanto di ricordi pregressi rimpiantati direttamente nel cervello. Non era certo l’esistenza che Mickey aveva immaginato, ma per sfuggire dagli strozzini si fa questo ed altro. Ed è esattamente ciò che fa anche il film di Bong Joon-ho. Soprattutto quando di Mickey, a un certo punto, finiscono per essercene due. Presosi carico dell’adattamento del libro, che si allontana dalla base fornita da Ashton che si è completamente affidato all’idea di vedere il nocciolo di un suo racconto trasposto da un regista e sceneggiatore considerato da lui stesso un genio, il cineasta sperimenta con una storia che è storta e pasticciata proprio come il suo protagonista. Riverberando così il carattere e l’assoluta inadeguatezza di un personaggio interpretato con altrettanto impaccio da Robert Pattinson, straniando durante la visione di un’opera volontariamente assurda e grottesca, dove ogni cosa non è al suo posto e, proprio per questo, accende la curiosità.
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Pur cambiando continuamente confezione ma non abbandonando mai temi e riferimenti a cui l’autore è attaccato, Mickey 17 prosegue la scia di mescolanza tra cinema di denuncia e grande intrattenimento che contraddistinguono solitamente le produzioni statunitensi del regista. Non che il resto dei suoi titoli non insegua una costante analisi sulla disparità di classe e continui dilemmi morali, ma è come se la cornice più ampia e flessibile del cinema di svago si porti dietro una libertà in cui Bong Joon-ho può osare con l’argomento, magari non riproponendo il rigore di opere come Parasite, dove la tematica diventa il pilastro dell’intera operazione, ma trovando un connubio tra film commerciali e riflessioni taglienti che possono osare - e magari anche sbagliare - in contenitori più sgangherati. È per questo che Mickey 17 ha un lungo filo che lo vede collegato con Snowpiercer e Okja, che ne è il fratello anche in termini di genere sci-fi e, un po’ come loro, più sbilenco all’interno della filmografia dell’artista. È l’apertura per il largo pubblico - sebbene sempre di quello che esige ricercatezza - in cui il regista non rinuncia alla sua visione del mondo. Dove le persone comuni finiscono per ribellarsi ai soprusi di un potere egoista, villano e avaro, la maggior parte delle volte violento e in Mickey 17 anche abbastanza stupido. Che maneggia e avvelena i problemi etici e umani su cui l’autore stesso si interroga e a cui piace dare risposte che non vogliono rassicurare o meno lo spettatore, bensì devono sia agganciarlo durante la visione, che portarlo a formulare una propria opinione.
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Ad aggiungersi al lato sociale del film, Bong Joon-ho avanza un’analisi sui media e l’esposizione della violenza diventata la più alta forma di contenuto. Riprese, telecamere, obiettivi sono l’occhio attraverso cui la nave e la comunità di Mickey 17 osservano e costruiscono il racconto del loro tentativo di colonizzazione di un nuovo pianeta - con momenti sull’ambientalismo e il trattamento delle specie che, ancora una volta, fa il paio con Okja. E più l’accadimento è estremo, più bisogna riprenderlo. Per compiacere il pubblico, per fare in modo che resti come un pezzo di storia, per testimoniare e incastrare. Per (s)mascherare il totalitarismo che sta prendendo piede, normalizzandolo attraverso la messa in onda, e i riferimenti tra posizioni e fisico del politico di Mark Ruffalo nel film non sono a caso riconducibili tanto alle apparizioni pubbliche di Mussolini quanto di Donald Trump. Con la pellicola il regista e sceneggiatore ci chiede quanto e cosa siamo disposti a filmare pur di conseguire un risultato, quanto morboso è diventato il nostro sguardo e quanto sforzo ci vuole per mettere su una messinscena. Per raccontare ciò che accade e sfruttarlo a nostro piacimento. Siamo tutti attori di una recita più grande, con una deferenza verso i media e l’uso delle telecamere non uguale o dirompente, né tantomeno fondamentale per il film come in Natural Born Killers di Oliver Stone, ma che a suo modo va a rievocarlo.
La colonizzazione di Mickey 17 diventa una parodia degli sforzi umani e del loro ridursi al ridicolo perché, in fondo in fondo, è ciò che siamo. E lo è sicuramente Robert Pattinson in un ruolo stropicciato come il film; voce stridula e elasticità espressiva che lo mettono sotto una luce diversa rispetto alle parti intraprese fin qui nella sua carriera. Ironico, malmesso, sfigato. È bizzarro al punto giusto e impreciso come la pellicola. Un’opera che è un oggetto strano e valido proprio per questo. L’esempio di come noi esseri umani come collettività dobbiamo apprendere ancora molto, magari imparando e riprendendo chi consideriamo “alieno”, ma sa essere molto più fedele, umano e misericordioso di noi.