Dieci errori in "A Complete Unknown" Il fact checking del film su Bob Dylan

Giovedì è ufficialmente uscito nelle sale italiane il nuovo biopic su Bob Dylan, A Complete Unknown, interpretato da Timothée Chalamet e diretto da James Mangold, già autore del biopic su Johnny Cash con Joaquin Phoenix. Il film, presentato in anteprima a Roma, arriva in Italia a quasi un mese di distanza dagli Stati Uniti, dove era stato accolto in modo piuttosto favorevole anche e soprattutto grazie all’interpretazione magistrale dei principali attori coinvolti. Ad affiancare la nuova star hollywoodiana più chiacchierata del momento c'è un cast stellare, da Edward Norton nel ruolo di Pete Seeger a una straordinaria Monica Barbaro nel ruolo di Joan Baez, Boyd Holbrook in quello di Johnny Cash e Elle Fanning in quello di Sylvie Russo aka Suze Rotolo.

La sceneggiatura è di stampo classico hollywoodiano, per questo in alcuni casi si è vista costretta a tagliare, cucire e mescolare gli eventi, reali e fittizi, a scopi narrativi. Anzi, stando a quanto rivelato dallo stesso Mangold in un’intervista a Rolling Stone, pare che lo stesso Dylan abbia esplicitamente chiesto al regista di inserire un aneddoto totalmente inventato nel film - quale sia non ci è dato sapere, ma ci arriveremo più avanti. In ogni caso, al netto di alcune “licenze poetiche” (che, sia chiaro, non inficiano il risultato finale ma certamente hanno fatto alzare qualche sopracciglio ai dylanologi più intransigenti), ci troviamo di fronte a una narrazione che si sforza di essere più realistica possibile. Tutte le piccole crepe della realtà non fanno crollare l’edificio, ma lasciano filtrare, al massimo, eccessi di luce che si inseriscono all’interno di una narrazione piuttosto solida e lineare, basata sul libro di Elijah Wald, Il Giorno che Bob Dylan Prese la Chitarra Elettrica. A Complete Unknown è un’opera di fiction, anzi, un’opera di fiction straordinariamente riuscita nel raccontare quello che rimane, ancora oggi, “un completo sconosciuto” e al tempo stesso il più grande autore di canzoni del ‘900.

Ecco allora quali sono, secondo i dylanologi più esperti, le dieci principali scene del film che non trovano riscontro nella realtà:

La scena in ospedale con Woody Guthrie

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La scena: Un trattamento simile viene riservato anche a Johnny Cash, figura a cui il regista James Mangold è certamente molto legato, avendo girato, come detto in precedenza, anche il film biografico su di lui - Walk the Line del 2005 - con Joaquin Phoenix nel ruolo dell' “Uomo in Nero”. Il Johnny Cash rappresentato in A Complete Unknown diventa amico di penna di Dylan e lo incoraggia ripetutamente a seguire la propria strada senza farsi influenzare dagli altri. L’apice del loro rapporto è la scena che avviene nel parcheggio poco prima dell’esibizione finale al Newport Folk Festival del 1965. Dopo aver discusso con Seeger, Dylan esce un attimo a prendere una boccata d’aria e incontra Cash, in evidente stato di ebbrezza, che cerca invano di uscire con la sua auto dal parcheggio. In quel frangente Cash gli fa un discorso d’incoraggiamento per non lasciare che gli altri gli dicano quale musica deve suonare. 

La realtà: È vero che Dylan e Cash erano diventati amici di penna. Anzi, Mangold è riuscito persino a recuperare, tramite il manager Jeff Rosen, parte di questa corrispondenza originale: «La frase molto specifica in cui Johnny dice: «Bob, traccia un po' di fango sul tappeto», è letteralmente quella che Johnny ha scritto a Bob in una di queste lettere» ha rivelato il regista. Il vero Cash, inoltre, aveva anche difeso pubblicamente la decisione di Dylan di allontanarsi dalle canzoni di protesta, scrivendo una missiva alla rinomata rivista folk Broadside, in cui diceva: «Non parlate male di lui finché non lo ascoltate», «È quasi nuovo di zecca... FATE SILENZIO! ... E LASCIATELO CANTARE!». Ciò non toglie che la scena clou sia falsa: l’uomo in nero non era presente al festival di Newport nel 1965 e quel discorso di incoraggiamento prima di salire sul palco non è mai avvenuto. Anche in questo caso, come in quello di Pete Seeger è più una proiezione immaginaria della sua vicinanza in generale.

L’esibizione finale di Dylan al Newport Folk Festival del 1965 

La scena: Il film raggiunge il suo culmine con la famosa esibizione al festival di Newport del 1965, quando Dylan decide di infrangere la tradizione del folk convenzionale, proprio davanti a quella che era considerata la sua casa, proponendo un primo set elettrico invece di suonare in acustico. Le testimonianze della serata sono così diverse che diventa quasi impossibile separare il mito dalla realtà; nel film la reazione da parte del pubblico è variegata, ma sembra che a prevalere sia la parte più ostile. A un certo punto Pete Seeger fissa insistentemente un’ascia perché per anni è circolata la leggenda metropolitana che volesse afferrarne una per tagliare i cavi dell’amplificazione. Ma c’è un particolare dettaglio che ha fatto insorgere la sommossa di quasi tutti i dylanologi del pianeta: durante l’esibizione si sente nitidamente provenire un urlo da qualcuno del pubblico che grida «Giuda!» all’indirizzo di Bob Dylan. Da sopra il palco Dylan risponde: «I don’t believe you…» e poi, rivolgendosi direttamente alla sua band, si raccomanda: «Play fucking loud!». Dopodiché il gruppo fa partire una versione incendiaria di Like a Rolling Stone

La realtà: Tutti i fan di Dylan sanno che quel momento leggendario è avvenuto durante un concerto in Inghilterra, più precisamente alla Free Trade Hall di Manchester, il 17 maggio 1966: lo si può ascoltare nella registrazione del live “The Bootleg Series Vol 4: Bob Dylan Live 1966, The “Royal Albert Hall” Concert. Ma le ragioni per cui un momento del genere non poteva essere lasciato fuori da questa storia, e anzi aveva senso inserirlo qui, sono evidenti e perfettamente coerenti con la narrazione. Assieme alla scena della sigaretta con Suze Rotolo, è possibile che sia questo il vero episodio falso voluto da Dylan. La risposta, come quasi tutte le altre che avvolgono il mistero del cantautore, sta soffiando nel vento, ma il suo mito a sessant’anni è ancora qui. Anche perché, come ha scritto Alessandro Carrera: «non sono 60 anni che Dylan canta. Sono secoli».