E se Lost in Translation e Her fossero lo stesso film? Usciti a distanza di dieci anni l'uno dall'altro, hanno molti elementi in comune

E se Lost in TranslationHer fossero lo stesso film? Se fossero legati da una consecutio temporum infrangibile? Nonostante siano usciti a distanza di dieci anni l’uno dall’altro è impossibile non soffermarsi su quanti elementi comuni ne compongano la narrazione e soprattutto lo stato emotivo dei protagonisti da loro narrati. Theodore (Joaquin Phoenix) così come Charlotte (Scarlett Johansson) sembrano sospesi in un tempo illimitato in cui le voci dei loro rispettivi compagni sembrano affievolirsi sempre di più e scomparire per sempre, pur rimanendo perennemente impresse nella loro mente. Sicuramente uno dei primi elementi di congiunzione che salta all’occhio è come entrambi i lungometraggi potrebbero essere la spiegazione, l’espiazione, che portò alla separazione dei due registi che hanno ideato i rispettivi film, Sofia Coppola e Spike Jonze, traslati nella traduzione di ciò che per loro rappresentò quel dato periodo a distanza di anni. Charlotte, alter ego di Sofia Coppola in Lost in Translation, si ritrova catapultata in un realtà che non le appartiene, in una Tokyo in cui il mormorare delle luci al neon ne determinano lo scandire dal giorno alla notte, dove le stanze di hotel diventano appannaggio della realtà, cercando di non mostrare la distruzione lenta di un amore ormai stanco di essere coltivato. Allo stesso modo Theodore, autore di lettere d’amore per lavoro, non riesce a superare la separazione da sua moglie, vagando ineluttabilmente in una Los Angeles hi-tech in cui i rapporti interpersonali sembrano ormai guidati unicamente dalle macchine.

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Come analizzato su The Artifice, Lost in Translation gioca continuamente con gli ampi silenzi di una grande città, metafora dell’incomprensione tra Charlotte e suo marito, che si tramutano in nuovi ricordi sensoriali quando si presenta una nuova figura da conoscere, che possa rappresentare anche una nuova vita per la stessa protagonista. Il limite linguistico che sembrerebbe essere unicamente legato da una città straniera diventa per Sofia Coppola il mondo per raccontare non verbalmente il disagio di sentirsi persi, il silenzio dell’assenza: «Il legame tra Charlotte e Bob esiste nelle fragili pause del silenzio. Si incontrano in questa piccola sacca di tempo improduttivo in cui si sentono persi nelle loro vite personali. Forse non si sarebbero trovati o nemmeno notati se questo divario di spazio e tempo non fosse esistito. I fuochi d'artificio e il momento luminoso di un “amore a prima vista” appartengono alle fiction di Hollywood. Il legame tra Bob e Charlotte è molto più sottile e sommesso». In Her, invece, il veicolo che ci permette di entrare in contatto con Samantha è rappresentato unicamente dagli auricolari di Theodore.La sua memoria uditiva, la voce di un passato ormai lontano, non vengono rappresentate da un’immagine fisica ma diventano protagoniste di un disagio interiore impellente e l’architettura sonora che Jonze gli costruisce attorno gli permette di catturare qualcosa di significativo sul carattere, e sulle ansie, della Los Angeles contemporanea, sempre più simile alla Tokyo di Sofia Coppola. Theodore come la città che abita è intrappolato in un limbo tra il suo passato privato da cui non vuole staccarsi e un futuro incerto che non gli mostra grandi aspettative. La memoria sonora così come la musica diventano per i due protagonisti anche un modo per creare un contatto vivido con la relazioni che stabiliscono in quel dato momento: se Bob sembra dedicare in uno stroboscopico locale di karaoke di Tokyo, More Than This dei Roxy Music a Charlotte, nascondendo un messaggio meta-testuale su quello che sembrerebbe essere il loro rapporto, Samantha scrive per Theodore una composizione che possa catturare istantaneamente, come una fotografia, la loro due vite insieme.

Il processo sonoro che Theodore affronta con Samantha lo porta ad espiare le proprie colpe, a rendersi effettivamente conto di ciò che ha portato alla fine del suo matrimonio ed è proprio in quel dato momento che i due film sembrano avere una congiunzione perfetta tra immagini e parole. Come spiega Ken Guidry su WhatCulture, Theodore, capisce finalmente tutto questo alla fine del suo percorso psicologico con Samantha e quando recita in voice over la sua lettera di addio a Catherine, la sua ex moglie, è come se stesse cercando di raggiungere quella giovane donna che sta guardando fuori dalla finestra nella sua camera d'albergo a Tokyo. Quando Charlotte guarda fuori dalla finestra potrebbe essere in attesa che quel messaggio viaggi attraverso le onde radio e la raggiunga finalmente, congiungendo indissolubilmente due espressioni opposte di una separazione sofferta e dell’ineluttabilità delle relazioni nella vita moderna.