L'estetica dell'oratorio Breve analisi di stile e abitudini nei campetti delle chiese, fra goleador e orari da rispettare

Campanili, parroci, campetti spelacchiati e Estathé come terzo tempo sono stati un tratto della vita calcistica di molti sportivi, che ha accomunato generazioni, dilettanti, e campioni. Paolo Maldini, ad esempio, ha detto più volte ai giornalisti di tutto il mondo che la sua infanzia l'ha "vissuta all'oratorio" (il suo, a Milano, era quello di Piazza Pio X). Anche Francesco Totti, pur senza specificare, non ha nascosto il suo inizio da enfant prodige negli spazi sportivi delle chiese romane. 

Le partite all'oratorio sono state un must dell'infanzia di tutti, ma che oggi, come molte cose, sono anche ciò che non c'è più. Mancano perché il coronavirus si combatte anche con l'isolamento e le distanze, i principi più antitetici ai valori dei campetti dell'oratorio. Non è solo si smarriscono certe dinamiche - si creano amicizie, si pratica attività fisica all'aria aperta, i genitori sanno che i propri sono all'oratorio - ma oltre alla questione sociale, c'è un fatto di vita: ci sono dei momenti e dei costumi che solo all'oratorio (o in pochi altri luoghi sportivi al mondo) si possono vivere. 

Gli scarpini sono un altro apparato dell'estetica dell'oratorio che definisce un calciatore provetto. Infatti, molti già da piccoli capiscono l'importanza di avere scarpe con i tacchetti giusti, quando utilizzare questo o quel modello. Di solito, però, le "scarpe per l'oratorio" sono una roba da fissati. Quando si è piccoli non si ha poi troppa voglia di scegliere quale scarpino è migliore dell'altro né tanto meno sacrificare la spesa di un qualunque regalo per una Munich più comoda per la partita del pomeriggio. 

D'altronde non serve essere i più belli al campetto dell'oratorio, quanto arrivare prima al campo, essere pronti a 2-3-4 ore di partite e sfidare cicli di coetanei e non. L'importante, quando si è piccoli, è esserci. Praticamente l'unica cosa che non si può fare ora.