L'evoluzione estetica del Draft NBA Escursione stilistica tra gli outfit migliori e peggiori

Tray Patterson del New Yorker definisce lo stile dei partecipanti all'NBA Draft come il vero "barometro culturale della sartoria". E tornando indietro di quasi mezzo secolo, è impossibile dargli torto. Uno dei primi e più importanti eventi della stagione NBA andrà in scena stanotte, in videoconferenza - proprio come l'ultimo digital draft NFL - e quindi non in pompa magna come negli ultimi anni, dove il Barclays Center di Brooklyn si trasformava in un enorme palcoscenico per giovani talenti pronti al passaggio tra i pro.

È un "barometro culturale" perché l'estetica e lo stile portati su un proscenio di questa importanza mediatica genera trend e nuove mode, che nella maggior pare dei casi suscita più risate che reale interesse. Negli ultimi anni, però, c'è stato uno switch netto, con la nuova generazione di talenti che è molto più attenta alle tendenze e non vuole bucare la prima di tante sfilate. David Stern - il compianto commissioner che ha fatto del Draft un evento globale - ha cambiato le regole del gioco, soprattutto in termini commerciali. Tutto il mondo ha gli occhi puntati su quel palco e nessuno vuole sfigurare in termini di stile.

 

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Dal total white di King James all'abito avorio di Zion Williamson il passo è breve, anche a 16 anni di distanza. La raffinatezza non è parente dei più giovani, ma sicuramente l'evoluzione è positiva rispetto al punto più basso del decennio prima. Ricercatezza e nuove tendenze - come le fodere delle giacche cucite con messaggi, loghi e simboli - ma anche le prime collaborazioni tra brand fashion e giocatori.