Come stanno cambiando i loghi del calcio italiano I casi di rebranding più riusciti e le strategie dei club

La parola logo è un’abbreviazione di logotipo, saldatura greca dei termini λόγος (parola) e τύπος (forma). In pratica è l’immagine che definisce il modo in cui un brand è percepita dall’esterno. La reificazione dell’identità di un'azienda, a partire da lettere, forme o immagini. Ma in qualche modo è anche una forma di rappresentazione del contesto culturale di cui è parte. Per questo ogni logo vive in un processo di costante evoluzione: bisogna rimanere al passo coi tempi e il rinnovamento del logo vuole restituire al target proprio questa capacità di ''restare sul pezzo''.

Va da sé che in un mondo sempre più iconografico, fatto di immagini che signoreggiano sulle parole, esso tenda a gonfiarsi di significati. Oggi il logo costituisce una fetta cospicua delle logiche di branding delle grandi marche. Inevitabilmente, verrebbe da dire.

Il calcio italiano, almeno in questi termini, sembra aver assorbito velocemente la necessità di cambiamento. Alcuni loghi sono stati solo impercettibilmente ritoccati, altri modificati in parte, altri del tutto riprogettati. Del resto i club sono a tutti gli effetti delle aziende, e in ogni grande azienda, aldilà del settore di riferimento, la digitalizzazione pervasiva e l’esposizione sistematica alla piattaforme social hanno forzato la transizione dallo scheumorfismo dei vecchi loghi al flat design dei nuovi. Scandendo il passaggio da un’iconografia fatta di ombre, sfumature e ricerca della tridimensionalità a una più essenziale, chiara, piatta. È anche vero che non tutti possano permettersi un logo tutt'ora quasi identico a quello di 30/40 anni fa, come quelli di Manchester United o Bayern Monaco, che della loro gloriosa tradizione fanno orgogliosamente un punto di forza.

Aldilà dei significati particolari dei singoli elementi del new logo della Juve, il concetto chiave resta quindi la possibilità di crescere ''comunicando ed evolvendo il brand'', processo che il club bianconero ha seguito sgretolando letteralmente gli schemi, ma che anche altre società hanno provato a iniziare, a partire dal semplice ritocco del logo. Fra il 2007 e il 2014 l’Inter ha avuto tre stemmi diversi, tre tappe di un lento percorso di evoluzione. Il punto di partenza è rimasto l’intreccio delle quattro lettere FCIM inscritte in uno schema circolare, strada tracciata da Giorgio Muggiani - ideatore del primo logo nerazzurro - nel lontano 1908. Nel 2007 la stella interna allo stemma è stata sistemata fuori, le scritte ''Inter'' e ''1908'' eliminate, la zona centrale ampliata, i colori opacizzati. Nel 2014 un’ulteriore semplificazione compositiva è stata affidata a Leftolt, con la rivisitazione delle quattro lettere e la riduzione dei cerchi concentrici. Un’armonizzazione delle proporzioni volta alla ricerca di una maggiore leggibilità e riproducibilità. Oggi guardando i social nerrazzurri sembra addirittura in atto uno scatto ulteriore verso un’essenzialità ancor più estremizzata del logo, non troppo lontana da quella della Juventus.

In generale le linee guida del cambiamento sono quelle del flat design: pulizia, linearità e chiarezza. Obiettivo la riconoscibilità, ma non solo: nell’ottica di una visione più ampia, la rivisitazione semplificante del logo è un modo di slegarsi da un mercato esclusivamente calcistico. Li Muli, ideatore del new-logo del Palermo, spinge in questa direzione: "L’idea è quella di renderlo più eclettico per il merchandising anche a livello internazionale, per un tipo di abbigliamento non solo sportivo. È un modo diverso di vedere un marchio, non per forza collegato al calcio". Non a caso il nuovo logo del Palermo, che quest’estate ha dovuto ridisegnare la propria immagine, è l’unione essenziale di una P stilizzata con la testa di un’aquila, da sempre simbolo della città. Un ponte tra passato e futuro, fatto di elementi storici rivisitati in chiave moderna.