
Angeli e punk nella collezione FW25 di Undercover Citazione e autocitazione per una collezione personale ma forse difficile da capire
Tute Champions con scarpe decolleté ricoperte da una stampa floreale, piumini e fleece simil-Patagonia alternate a giacche punk decorate di spille e gonne blu di frange metalizzate come pom-pom. Abiti decorati da farfalle e incrostati di bottoni di madreperla con piccole ali d’angelo scolpite sulla schiena che sfilano a fianco di bomber militari e giacche rappezzate e ricoperte di ogni sorta di chincaglieria, blazer e gonne con stampe di farfalle, scialli avvolti in vita come cinture. Basta questa breve lista per capire che la collezione FW25 di Undercover presentata ieri sulle note di Nina Simone alla Salle Wagram di Parigi era una mescolanza, spesso contradditoria, sicuramente frastagliata e irregolare, di stili e suggestioni. E c’era un motivo: lo show di ieri era difficile da capire e metabolizzare perché era un omaggio di Jun Takahashi alla propria collezione preferita, la FW04, intitolata “but beautiful…part parasitic, part stuffed” che combinava da un lato ispirazioni riprese direttamente dal guardaroba new wave di Patti Smith e dall’altro le suggestioni stilistiche di una scultrice tessile di nome Anne-Valerie Dupond che crea figurine di tessuto rappezzate ad arte come il mostro di Frankestein e che oscillano tra l’ironico e il seriamente inquietante. Chi volesse un assaggio dello stile di Dupond può osservare le curiose scarpe “scolpite” apparse ai piedi degli ultimi look, quelli da sera, che erano anche i più belli e spettacolari – ma in generale si può capire come mai lo show sia parso duro da intendere, dato che univa un certo grado (sano) di autoreferenzialità a citazioni già di per sé oscure con il solito comprensibile tocco commerciale per un risultato finale molto coerente con sé stesso e con il brand ma anche poco intuitivo, qualcuno direbbe contorto. Ma forse questa era l’idea.
Undercover è uno di quei brand che rappresenta un universo a sé. Pur essendosi espanso in aree molto commerciali della moda, come le molte collaborazioni con i brand della grande distribuzione o gli abiti più immediatamente logati, il brand rimane una realtà deliziosamente intellettuale – i migliori abiti che produce hanno sempre qualcosa di fondamentalmente strano e questo è il loro bello. Tutto questo universo, non certo esente dalle contraddizioni che abbiamo visto, è subordinato ai gusti e alle manie del suo creatore, Jun Takahashi, che oltre ad aver trasformato il proprio brand in un impero commerciale oltre che in una realtà parallela, è anche un pittore estremamente raffinato, un esperto di musica e musicista egli stesso oltre che il possessore di gusti molto specifici. Questi gusti specifici erano in mostra allo «Ora, a vent’anni dalla sua creazione, ho deciso di reinventare la mia migliore collezione personale concentrandomi sullo zeitgeist e su uno stile casual da adulto. Avevo 35 anni allora e ora ne ho 55 e sono entusiasta di vedere come questi vent’anni si riflettono sul design», ha scritto Takahashi nelle sue show notes. Quali altri designer sulla scena potevano dirsi entusiasti di presentare una collezione che è insieme omaggio e auto-omaggio? Quali altri storici direttori creativi possono o vogliono giocare ancora con questo gusto, sul piano artistico, senza cadere nella sterilità e nella ripetizione? La risposta è: troppo pochi.