
Come si diventa designer di boutique di lusso Intervista a Eugenia Foti, interior designer per Dior
Dimmi cosa compri e ti dirò chi sei. O meglio, dimmi dove. Prima che i club e i social media diventassero gli spazi principali per il raduno di subculture, erano le boutique i luoghi in cui scoprire gli ultimi trend di moda. E non c’entra quello che era appeso sulle relle, bensì quello che indossavano i clienti, come si comportavano all’interno del negozio, il clima che si respirava. Lo street style per come lo conosciamo oggi ha preso forma agli inizi degli anni ’60, quando Mary Quant aprì Bazaar (lei addirittura nel 1955), quando Barbara Hulanicki aprì Biba, e quando Yves Saint Laurent aprì Rive Gauche. Tre boutique che hanno segnato per sempre la maniera in cui acquistiamo, capitanate da designer giovani, portabandiera della liberazione femminile attraverso gli abiti. Remando contro l’austerità dell’alta moda, da Biba, da Bazaar e da Rive Gauche si andava per divertirsi, per sentire buona musica e per aggiornarsi sulle ultime tendenze. I colori accesi delle vetrine riflettevano la personalità dei talenti che frequentavano i tre negozi, come le muse Lou Lou de la Falaise e Betty Catroux nella boutique di Parigi, o i Rolling Stones e i Beatles oltremanica. Visitare Biba, Bazaar o Rive Gauche voleva dire accedere al mondo dei Swinging Sixties e della moda Hippie anni ’70, fare parte di una community la cui immagine resta tutt’ora un’icona. Oggi scoprire uno store, studiarne la vetrina, rapportarsi con i commessi e con gli articoli proposti viene chiamato customer experience, termine che racchiude tutti i passaggi che portano all’acquisto. E-commerce a parte, la nostra esperienza di shopping influenza estremamente sulla nostra decisione finale perché, così come un assistente vendite scortese, anche uno specchio mal illuminato può convincerci ad abbandonare il carrello. Se un tempo erano gli stilisti a scegliere il design della propria boutique, oggi esistono profili professionali dedicati in grado di coniugare creatività e praticità tanto da intercettare le necessità di un cliente ancor prima che questi superi la porta d’ingresso. Un mestiere in continuo cambiamento, che oggi più che mai segue le leggi dei social media e della computerizzazione, abbiamo chiesto come si diventa designer di boutique di lusso a Eugenia Foti, che in quasi dieci anni di carriera ha disegnato gli spazi di maison come Gucci, Valentino e Dior.
Come il design, come la moda e come l’arte, il mondo degli interni è cambiato, più che mai legato all’impatto mediatico, ma non per questo incastrato in un’allucinazione algoritmica e ripetitiva. Alla larga da installazioni temporanee di plastica e architetture scopiazzate da qualche angolo di internet, ci sono ancora spazi mozzafiato come Bottega Veneta in Corso Vittorio Emanuele in legno di noce italiano e marmo Verde Saint Denis, il grattacielo di specchi di Prada a Tokyo, o ancora il labirinto rosso e bianco di Comme des Garçons a Parigi. Per chiunque volesse atterrare nell’universo di un brand e lavorare al design di interni delle loro boutique non basta però la creatività, Foti raccomanda. «La richiesta c’è sempre secondo me, se uno è appassionato di architettura e di moda può farlo. Non è facilissimo, ma se uno ha la passione e la voglia di imparare continuamente programmi nuovi (la tecnologia va sempre avanti, adesso c’è anche l’intelligenza artificiale) può riuscirci». Certo, ormai sarà raro incontrare Mick Jagger o Paul McCartney per le stanze della boutique come negli anni ’60 da Rive Gauche o da Bazaar, però.