
Il giro del mondo in 80 look della SS25 di Louis Vuitton Olimpiadi, archetipi e buoni sentimenti
Una delle più leggendarie canzoni dei Daft Punk, Around the World, è basata sulla ripetizione (144 volte) della medesima frase. Ironicamente, proprio la ripetitività e la semplicità ne hanno fatto qualcosa di leggendario. E qualcosa di simile è quello che è successo con la SS25 di Louis Vuitton, andata in scena ieri sul tetto della Maison de l'UNESCO a Parigi in cui Pharrell ha reiterato le silhouette introdotte già alla sua prima collezione seguendo un leitmotiv in effetti riassumibile nella frase "around the world". Accompagnato da Triumphus Cosmos, una composizione firmata dallo stesso Pharrell, lo show è stato animato da un afflato di ecumenismo pacifista: Louis Vuitton che riunisce tutto il mondo e rappresenta l’armonia universale. Un tipo di ottimismo che in altre situazioni storiche sarebbe risultato stucchevole ma che oggi, in tempi di tensioni multi-livello tra cittadini e stati, cittadini e cittadini, stati e altri stati suona stranamente incoraggiante. Nel 2024 dire di volere la pace nel mondo non è più un luogo comune da concorso di bellezza ma uno statement affatto banale – ancorché sempre vagamente retorico. Dopo tutto Louis Vuitton rappresenta le istituzioni: è la nave ammiraglia di LVMH, un gruppo che è sponsor delle Olimpiadi e ha un rapporto abbastanza stretto con il mondo politico e la vita pubblica del paese. Certo, suona velleitario innalzare un inno di pace mentre il governo francese traballa, tutti discutono della Senna inquinata e i parigini stanno prendendo abbastanza male l’avvento delle Olimpiadi – ma la moda ignora il mondo reale o ci si tuffa a capofitto e Louis Vuitton è troppo grande e troppo importante per permettersi di essere cinico o pessimista.
Difficile non vedere, in questo show, una dimostrazione di forza del brand, una sorta di prova pubblica delle capacità dei suoi atelier del brand ma anche quasi di una radicale bontà di cui Louis Vuitton ha iniziato a colorarsi già dai tempi di Virgil Abloh. Il messaggio è che il brand non è solo qualitativamente buono ma anche moralmente – se la cosa ha senso. Ma in fondo quale altro brand potrebbe permettersi un flex del genere? Ad ogni modo, se l’approccio di Pharrell al tema dell’ecumenismo (usiamo un termine ecclesiastico che però riflette bene l’idea di riunire tutti i popoli sotto un’insegna, croce o monogramma che sia) è forse del tutto privo di sottigliezza, va comunque detto che la sua capacità di comunicare lo spirito del brand, di organizzarne e coordinarne macro e micro-dettagli in uno show che meno una sfilata e più uno spettacolo nel senso di lavoro totale su ogni singolo aspetto, lascia senza dubbio impressionati.