
«Miista è una terra di nessuno» Intervista a Laura Villasenin, fondatrice e direttrice creativa di Miista

Sappiamo quanto sia difficile affermarsi nel mondo della moda da azienda indipendente, ma nessuno ha mai dato molto peso alle difficoltà che bisogna affrontare dopo, quando arrivano fama e successo e tocca confrontarsi con i grandi della industry che hanno le spalle parate. È questo l’ostacolo con cui sta facendo i conti Miista, brand con base a Londra e in Spagna fondato dalla designer e shoemaker Laura Villasenin nel 2011 e famoso per il suo approccio anticonvenzionale al footwear. Unendo la qualità della manifattura spagnola a design particolari, che spaziano da punte squadrate a tacchi a rocchetto, da stivali platform in vernice anni ’60 a ballerine in rete di pelle, nel panorama confuso e squilibrato che è la moda Miista sembra sempre stare un passo avanti. Lanciato sul mercato in un periodo in cui la fascinazione per le sneaker aveva ancora la meglio, il brand è riuscito a farsi strada sgomitando tra la folla di brand sportivi sbucati in quegli anni. Oggi la hype culture è passata, ma Miista è ancora qui, indipendente. Ha appena inaugurato il suo primo pop up store a Milano, in Via Nerino fino al 26 giugno, ma come ci racconta Villasenin la liaison tra la città e il brand è cominciata già da qualche anno. «Da quando ho fondato Miista, Milano è stata la città in cui ho incontrato i fornitori più importanti», ci dice la designer. «Gli italiani con l’artigianato ci sono nati, è come se fosse la loro lingua madre, ed è una cosa che abbiamo in comune nella mia città natale, la Galizia, nel nord della Spagna».
La tenacia di Miista è un’arma a doppio taglio: se da un lato ha aiutato il brand ad affermarsi nella industry con rapidità, dall’altro, racconta la designer con rammarico, a volte rischia di offrire una visione sbagliata del brand. «Essere piccoli ma sembrare grandi da fuori», dice Villasenin, è il motivo per cui anche a distanza di anni continua a definire Miista come un “progetto”. «È come se non fossimo più un team, ma una società, e una visione che a noi sembra estranea. Sembra che ci sia sempre meno comprensione dall’altra parte, con i fornitori così come con i creativi che abbiamo sostenuto per anni. Internamente tutto funziona ancora grazie a una stretta cerchia di persone, ma la percezione esterna è diversa». Questa intimità di cui parla Villasenin lo abbiamo potuto osservare di persona all’inaugurazione del primo pop up milanese di Miista questa settimana. Attorno a due grandi macchine da cucire posizionate di fronte alla nuova collezione del brand, i team marketing, social media e pr hanno presentato assieme a due artigiane del brand il processo di produzione delle collezioni. Tra gli sguardi di intesa che si scambiavano emergeva la vera natura raccolta e cooperativa - nonché ultra-femminile - di Miista. Abbiamo avuto un assaggio di quello che avviene tra una creazione e l’altra negli uffici londinesi e nelle fabbriche spagnole del brand. «Tutti i membri dei team di design e di marketing sono invitati a fare un brain dump di ciò che vorrebbero realizzare nella stagione successiva: una collaborazione con un fotografo, un disegno di un costume per un musicista, condividiamo la storia di ognuno».