
Quando Jean-Paul Gaultier era direttore creativo di Hermès E giocava con frustini, Kelly e Birkin in pelle esotica
Il 2003 è l’anno in cui l'enfant terrible della moda Jean-Paul Gaultier approda alla direzione creativa di Hermès. In quel periodo storico, designer come Tom Ford, John Galliano, Alexander McQueen e Marc Jacobs portano avanti un disegno culturale in risposta al minimalismo degli anni ’90 - gli elementi di rottura del y2k erano solo una parte del processo di smantellamento di quei codici estetici nascosti dietro alla pulizia dei gessati o delle uniformi da ufficio decostruite. Jean-Paul Gaultier, dal canto suo, aveva già avviato una profonda trasformazione dell’industria della moda costruendo una tipologia di linguaggio fatto di corsetti, stampe etniche, marinai sexy e collaborazioni con artisti culturalmente rilevanti sulla scena pop internazionale.
@madisonavenuecouture The Hermès Teddy Kelly 20 vs 35 bag the Teddy has remained as one of Jean Paul Gaultier’s best creations at Hermès. #jeanpaulgaultier #hermes #hermesbag #hermesteddy #rarehermes original sound - edited audios
La sua nomina a direttore creativo della maison francese si inserisce negli anni delle acquisizioni e della strutturazione dei grandi gruppi del lusso: Gucci Group NV acquisisce Saint Laurent sgomitando contro LVMH, il gruppo Prada è pronto ad inglobare Helmut Lang, mentre Hermès stringe accordi commerciali con Jean-Paul Gaultier ottenendo una quota del 35% del suo brand. «L'accordo tra Hermès e Gaultier, l'eterno enfant terrible della moda francese, rappresenta un rito di passaggio personale che potrebbe trasformare il suo brand da culto a marchio importante. Il passo dimostra anche che i designer indipendenti hanno bisogno di un partner potente per sopravvivere in un mondo sempre più dominato dai conglomerati del lusso» scriveva Suzy Menkes sul New York Times del 1999. La partnership, neanche a dirlo, presentava già dei precedenti vestimentari: Jean-Louis Dumas, l’allora presidente di Hermès, indossava maglioni a righe marinière di Gaultier legandoli intorno ai suoi completi, così come il designer celebrava le cravatte della maison facendone un nodo ad altezza del camp. «Credo che Gaultier abbia la capacità di essere ciò che è diventato Hermès» si legge sul New York Times - un incontro d’amore più che un accordo commerciale che porterà lo stilista alla direzione creativa di Hermès subito dopo la parentesi di Martin Margiela.
Le collezioni di Jean-Paul Gaultier per Hermès
Se per le collezioni prêt-à-porter Gaultier ha incanalato il suo estro creativo in una teatralità che è sempre rimasta rispettosa del dna di Hermès, è sugli accessori che il suo coding iper narrativo ha trovato i recettori predisposti alla sperimentazione. Già durante i suoi primi show, l’enfant terrible della moda aveva proposto una versione della Birkin da 25 cm spodestando il modello più in voga da 35. Su TikTok, archivio interattivo di riferimento per qualsiasi appassionato di moda, le sue borse hanno trovato una nuova oggi: prima la JPG Shoulder Birkin, poi la Kelly Pochette, la clutch Medor e Lindy e ancora la Kelly Cut, Danse o Picnic sono diventate il feticcio di creator, reseller e aspiranti divulgatori in ambito fashion. Gaultier ha compresso e allungato la Birkin in una borsa y2k, ne ha fatto una versione illusionista nel 2009 (la Shadow Birkin) e, prima ancora che parlassimo di tenniscore, ne aveva fatto sfilare una variante in lucertola color crema con una palla di tennis in coordinato. Dei dettagli delle borse, come la chiusura in ottone, ne aveva proposto un adattamento vestimentario posizionandola su cappotti color cammello, su guanti, stivali e persino su corsetti dalle sembianze di una sella - le borse come elementi da embeddare nell’armadio di Hermès. La Kelly, realizzata in vimini e cuoio o trasformata in una bustina morbidissima da portare alla cintura o perfino come reggiseno, assume i connotati di una Teddy bag nel 2005. Come a rimarcare l’idea che la moda, in quella precisa fase storica, godeva di un lusso che forse abbiamo dimenticato: la proverbiale e spensierata ironia di chi non doveva liberare nessuno da nulla. Di chi, con i vestiti, si poteva addirittura divertire.