
La voyuristica dissipazione della FW24 di Diesel Quando il distressing diventa virtuosismo
Cosa significa “decostruire”? Il termine è uno dei più usati nel dialetto del marketing e dei PR e viene usato per descrivere un po’ qualunque cosa – ma non è un termine vago per Glenn Martens, designer abituato a prendere l’architettura di ciò che è già noto e intuirne gli intimi funzionamenti, per poi sovvertirli. E la decostruzione è stata un punto forte del concept dell’ultimo show di Diesel – show che dovremmo chiamare forse “esperimento” dato che per l’occasione non solo l’intero processo di produzione, set-up della location, styling e casting sono stati visibili 24 ore su 24 sul sito del brand per tre interi giorni, ma mille osservatori esterni da tutto il mondo stavano osservando lo show e i suoi ospiti in una sorta di epica chiamata su Zoom, con i loro volti che scorrevano tra gli schermi alti come i muri che punteggiavano la passerella. Lo stesso pattern di volti intenti in una videochiamata riappariva anche su diversi capi della collezione.
Un tipo di inversione che è stato applicato, seguendo la stessa linea concettuale, sugli abiti: abiti e camicie dal tessuto dévoré che andava assottigliandosi fino a diventare trasparente, rivelando la propria trama insieme alla biancheria e ai corpi a essa sottostanti; lunghi abiti a fiori dall’effetto consumato da cui emergevano stampe animalier, denim che svelavano le gambe con inserti trasparenti e impalpabili; stoffe sovrapposte e rese aliene da trattamenti che ne simulavano il logorio, parka sintetici intersecati con maglioni, pellicce leopardate il cui orlo si trasformava in stoffe leggerissime; delicati abiti con maniche a sbuffo i cui tessuti erano bruciati rivelando altri tessuti al di sotto con colori a contrasto e, al contrario, pezzi dalla consistenza liscia che invece avevano la consistenza villosa del mohair. Ma anche blazer i cui diversi pannelli erano un’alternanza di denim e pelle, giacche dal colletto resecato a orlo vivo, tessuti organici ricoperti da una mano di finissaggio sintetico, abiti molto bon ton che diventavano improvvisamente provocatori grazie alla rivelazione della loro trama e, a chiusura dello show, una serie di monumentali look di pelliccia che prendevano gli archetipi del vestiario quotidiano e ne facevano qualcosa di primordiale, tribalistico. Il virtuosismo di Martens ha creato l’impressione generale di superfici scrostate che ne rivelavano altre – la chiave dell’estetica di questa collezione era proprio la dissipazione, l’identificazione del dinamismo nello stato intermedio di una trasformazione.