
Lo spettrale cabaret di John Galliano per Margiela Finalmente un po’ di fantasia
Viviamo in tempi aridi, aridissimi, quasi desertici. Come Leon Talley famosamente diceva: «C’è una carestia di bellezza» e a quella carestia, aggiungiamo noi, s’è di recente aggiunta una profonda siccità creativa che ci ha intrappolati collettivamente nel quotidiano e nel triviale dei “basics elevati”. Quest’anno, a Parigi così come a Milano, la moda è apparsa malata di realismo, assuefatta a riflettere sul presente e i suoi francamente noiosi problemi, a creare metafore per i social media, a vendere abiti che fossero soltanto se stessi. Peccato però che non ci sia nulla di più volgare del presente – e questo solo perché ci siamo dentro. In una moda per cui persino l’identità è una strategia commerciale (parafrasiamo quanto scritto da Carlo Mazzoni su Lampoon qualche giorno fa) si sentiva il bisogno di uno show realmente artistico, teatrale, capace di creare quel “sogno” che per molti è ancora il principale connotato di un’industria che, più di moda in sé e per sé, si occupa di abbigliamento di lusso. È per questo che l’ultimo show di John Galliano per Maison Margiela, uno show di Haute Couture o “Artisanal” come lo definisce la casa, ha letteralmente fatto tremare i pilastri della Terra per tutti i presenti e anche per gli assenti. Un critico cinematografico, anni, fa aveva descritto il film Exotica di Atom Egoyan come un «torbido acquario dove nuotano i fantasmi del desiderio umano» e un simile spettacolo è quello che ha chiuso, con una nota altissima (ma anche le musiche di Lucky Love e Hometown Glory di Adele, una canzone sulla povertà e bellezza dei sobborghi), la Couture Week di Parigi.
La cosa migliore, però, è che il messaggio di Galliano, l’atmosfera che ha creato, la narrazione che ha stabilito così lontana dalla terribile, plastificata prosa degli storytelling aziendali sarebbe comprensibile anche da chi non possiede gli strumenti critici o i pregressi culturali e artistici necessari a decifrarne tutti gli elementi. C’era molta tecnica in gioco nello show: gli abiti di organza trasparenti e le calzamaglie già citate, ma anche le tessiture e consistenze della lana impresse illusionisticamente nella seta, i drappeggi di latex in cui era avvolta Gwendoline Christie. Oltre all’atmosfera che verrà decantata da mille altre voci, la Couture era tutta presente e nella sua forma più sottile, “magica” e sconvolgente. Molte penne sentimentali o idealiste spargeranno fiumi di inchiostro sulla nostalgia, sulla tragica commercialità della moda di oggi, sul desiderio che moda torni a essere la grande macchina dei sogni di un tempo. Non ascoltateli: il loro cuore li acceca e queste considerazioni distolgono da ciò che è davvero importante. Ovvero il fatto che Galliano ha dimostrato come, ancora oggi, lo spazio per esplorare le zone d’ombra e l’anima più nera dell’immaginazione umana esista – solo che nessuno vuole esplorarlo.