
Lo spaghetti-western di Louis Vuitton Pharrell firma una collezione vivida, pop e facilmente commestibile
Perché usare, nel titolo, l’espressione “spaghetti-western” per definire l’ultimo sforzo di Pharrell per Louis Vuitton? Perché il nome definisce quei film ambientati nel West americano ma prodotti in Europa, proprio come i pezzi di questa collezione fabbricati tra la Francia e l'Italia, con l’unica differenza che quei film nascevano per infrangere il rassicurante mito del Far West proposto da Hollywood e raccontare il lato brutto, sporco e cattivo di quell’epoca. Ciò che ha fatto Pharrell è stato invece provare a riscrivere o sovrascrivere quel mito, riappropriandosi di un immaginario che, visto in retrospettiva, è alquanto colonialista e razzista: nei classici western, in effetti, così come nella realtà storica, cowboy e indiani erano nemici, gli uni invadevano il territorio degli altri, avviando un difficilissimo processo di integrazione che oggi è ancora lontano da essere risolto. Per redimere la figura del cowboy e potersi prendere la libertà di rimescolare i loro stilemi senza urtare la sensibilità di nessuno, Pharrell ha affidato la creazione di accessori, la colonna sonora e il set design dello show a diversi creativi nativi americani facendo proseguire quella tradizione di collaborazione che già Virgil Abloh aveva avviato anni fa. La scelta ha fatto della collezione un blockbuster denso e vitale, ricco di dettagli ma anche facilmente commestibile per un'audience da abbagliare tanto con la magnificenza e il lusso dei dettagli più minuti (particolarmente belli i dettagli in turchese creati da artigiani Dakota e Lakota) quanto con la relativa accessibilità delle silhouette tipiche del workwear e della vivace sartoria da rodeo.
L’immaginario americano secondo Pharrell
Altro macro-trend rintracciabile nello show sono il ritorno delle pellicce da uomo, presenti qui in diverse iterazioni. Perché diciamo che è importante? Perché uno dei look, quello che non a caso presentava il più lungo e opulento cappotto di pelliccia dell’intera collezione, era indossato da Will Lemay, iconico top model Y2K il cui look più assolutamente memorabile era stato proprio un cappotto di pelliccia indossato senza niente sotto e visto nella collezione FW01 di Sean John, ovvero il brand di Sean Combs, in arte P. Diddy, che è un altro mogul della musica presentato alla moda, con un anticipo di vent’anni su Pharrell. Una citazione davvero raffinata che dev’essere stata posta lì non solo come throwback virale ma anche per riportare l’attenzione sull’importanza che le pellicce da uomo hanno avuto nell’iconografia hip-hop ma anche sulla popolarità assoluta che hanno avuto in questa stagione e probabilmente l’avranno la prossima.