
Storia delle pellicce da uomo Dall'Ivy League a Drake
«Preferirei essere nuda piuttosto che indossare una pelliccia» recitava lo slogan della campagna PETA portata avanti da Naomi Campbell e Cindy Crawford nel 1994 - i loro corpi, privati di qualsiasi rivestimento, lasciavano alla parola scritta la possibilità di discutere i punti di un manifesto politico ed estetico su cui la moda è stata chiamata più volte a dire la sua. Di visone, di ermellino, di coyote o di altre specie, oggi la pelliccia più di moda è sintetica o di lana, pur essendosi caricata di significati sociali che meriterebbero una riflessione più attenta. Soprattutto quando è stata indossata da uomini che ne hanno riletto i codici e alterato lo storyboard.
Dove nasce la moda della pelliccia da uomo?
Cam’ron, nel pieno fervore degli anni 2000, indossa una pelliccia di visone rosa il cui styling sembra far crollare il labile confine che separa il y2k dal mc bling - “gorgeous gangster” nella sua sintesi rilasciata a GQ US. A distanza di tre anni, nel 2005, Snoop Dogg indossa un completo a prova di dandy con una pelliccia a dir poco flamboyant. Alla lista, ovviamente, non poteva mancare Kanye West che, come lascia intuire il brano Cold del 2012 («Tell PETA my mink is dragging on the floor»), di pellicce ne ha fatto sfoggio almeno fino al 2014. Se il rapper statunitense si era presentato allo show FW14 di Givenchy in quella che ha tutta l’apparenza di essere una pelliccia di coniglio, quella di coyote indossata nel 2016 da Justin Bieber tra le strade di Los Angeles aveva fatto notizia per il suo essere totalmente fuori luogo considerate le temperature del sud California. Seguono, anche se con background e storie diverse, Asap Rocky, Drake, Ezra Miller e Harry Styles come portavoci del capo della discordia per antonomasia.
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Il noto editor di Vogue US André Leon Talley, che le pellicce le usava, diceva che «per essere aristocratici non bisognava essere nati in una famiglia aristocratica» - la pelliccia, inizialmente, era quanto di più elitario ed escludente ci potesse essere in circolazione. Che sia “vera” o “eco”, la realtà è che oggi non rappresenta né un indumento esclusivo né tanto meno identificativo di una comunità o di una sottocultura. Il suo potere evocativo, già svilito dalla giusta (anche se opinabile nel caso di fibre sintetiche poco sostenibili per l’ambiente) scelta di non produrre più pellicce animali, non costituisce più uno statement. Al massimo, come accade nel mondo della post-verità, agisce da capo di recupero: la Gen Z la riscopre su Pinterest, la ripesca nell’armadio di famiglia e, nel peggiore dei casi, ne ricerca il dupe perfetto tra gli scaffali del fast fashion per i fit check sui TikTok. Le pellicce, ormai, sono solamente pellicce.