
Nessun dorma: esplorando lo stile di Pavarotti Come Internet ha fatto del tenore un’insospettabile icona di stile
Nella storia della musica, così come in quella della cultura pop e della vita vera, Luciano Pavarotti è stato un personaggio larger than life. Forse il principale responsabile, insieme a Maria Callas, di aver riallacciato i rapporti tra l’aristocratico mondo del bel canto e la cultura pop. Nel 1982, Time lo definiva «il primo tenore dei tempi moderni che non solo delizia gli esperti ma stupisce anche le masse». E la polarità fra il teatro e lo stadio, se vogliamo dire così, tra la musica lirica e quella leggera («il punto d’incontro c’è», disse nel 2000 a Sanremo, «quando la musica è bella, è bella»), tra l’elevato e il pop fu un po’ ciò che definì la sua lunghissima carriera insieme anche al suo impegno per il sociale. Ma questa è l’agiografia, non la storia pop. Per chi è nato e cresciuto in Italia negli anni ’90, per i Millennial insomma, Pavarotti è una di quelle figure che popolano l’immaginario collettivo senza un ruolo preciso: i giovani Millennial, che non sono poi così melomani, sapevano che era un tenore ma non comprendevano appieno il mondo della musica lirica. Di lui si ricordava la fisionomia, inequivocabile con la barba, le grandi sopracciglia nere e quel sorriso che gli aleggiava sempre in volto. Era una figura paterna, a suo modo. E la creazione del suo personaggio si è molto basata anche sul suo stile che, più che personale, era inequivocabile: la classica sciarpa bianca, simbolo di tutti i cantanti lirici che danno mostra di tenere alla propria voce; la collezione senza fondo di foulard di Hermès grandi come vele nautiche che lo accompagnavano costantemente; il panama color panna alternato con il newsboy hat; l’opulenza vivida dei colori anni ’80 che indossava. A sedici anni di distanza dalla sua scomparsa, Pavarotti è un’icona, più che del bel canto, del bel vivere: tutto di lui, dall’indimenticata performance di Lucean le stelle, fino alle foto che lo ritraggono in motorino che gira per la sua tenuta, parla di un vitalismo sincero ma soprattutto molto italiano.
Quanta parte ha avuto lo stile nella creazione di questo mito? Massima e minima. Minima perché, nei suoi anni, era più facile vedere Pavarotti sul palco o comunque in smoking che con i suoi look personali e dunque il suo stile emergeva da programmi tv o foto sulle riviste ma senza quell’incidenza, dato che era anche un look comune ai tempi e poco considerato rispetto al lavoro canoro; massima perché proprio quelle foto, nell’era di internet, si sono messe a circolare nuovamente suggerendo un’immagine familiare, divertente e assai avvicinabile oltre che spesso abbastanza scollata dalla statura del Maestro nel campo della musica lirica. Di lui piace l’eccesso e l’abbandono che quelle foto testimoniano, persino la trascuratezza di molte delle sue tenute oggi è diventata apprezzabile. In questo senso, se il lavoro di Pavarotti appartiene all’arte più elevata, i suoi outfit e l’apprezzamento per gli stessi è puro camp post-moderno. Quale dei due Pavarotti sopravviverà più a lungo nella memoria collettiva? Ci auguriamo entrambi, ma forse tifiamo per il primo.