
Per affrontare l'inverno servono spalle larghe Niente fa sentire potenti come la giusta silhouette
«Don’t you know it’s the year of the shoulder? Big shoulders are in and small shoulders are out, out, out!», si diceva più di vent’anni fa in uno degli episodi più sconclusionati di Will & Grace dove si ipotizzava, cosa impensabile per l’epoca, il ritorno del trend della power shoulder anni ’80 tra le ricche signore di Manhattan. La si chiama “power shoulder” non a caso: lo stile definì l’abbigliamento da ufficio anni ’80, epoca in cui le donne iniziarono la loro scalata verso i vertici delle aziende con indosso tailleur e giacche da cui era bandita ogni mollezza e che, invece, dovevano esprimere tutta quella volitività e forza dei colleghi uomini. Non è un caso che le spalline siano associate per lo più alle giacche, ma in verità siamo pieni di esempi di power shoulder sparsi un po’ dovunque: dalle giacche di jeans e gli abiti da sera di Dolly Parton alla couture vista addosso a Joan Collins in ogni episodio di Dynasty, fino al vestito rosso di Lady Diana e alle uniformi di Wynona Rider e Shannon Doherty in Schegge di Follia. Oggi si parla di un loro ritorno. Anche gli occhi più disattenti le hanno notate negli show di Saint Laurent, dove le spalle dei blazer erano monumentali, e anche da Balenciaga, Bottega Veneta, Dior, Diesel, Celine e, naturalmente, da Prada dove le linee di giacche enormi, ma sottili come camicie, partivano da enormi spalle e confluivano in una stretta vita. Ma da dove viene la power shoulder?
Ma perché un ritorno oggi? Col finire dell’ubriacatura capitalista degli anni ’80, il pubblico reagì all’eccesso delle silhouette, dei materiali e delle decorazioni con un look opposto, semplificato, sobrio. Quelle spalle esagerate, così legate a un’epoca e a dei valori che avevano smesso di essere moderni svanirono progressivamente. In poco tempo, a indossare le esuberanti spalline restò solo Fran Drescher negli episodi de La Tata, per simboleggiare l’eccentricità del suo personaggio. La silhouette riemerse un ventennio più tardi, tra 2009 e 2011, grazie a Lady Gaga e Rihanna, per venire poi cancellata dall’ondata streetwear e ritornare timidamente in auge con il Me Too fino a questa stagione, dove è emersa in una forma più conclamata.
The hotly debated Gold Show. Lady Gaga in a shoulder piece from the show. https://t.co/AWqgRLnkRl pic.twitter.com/VPcNTo4rqQ
— “Gay Baby Daddy”- Azealia Banks (@beyonceseyelid) December 4, 2021
Ma perché il motivo di questo ritorno? Noi ne identifichiamo due: il primo, il più astratto e più banale, è il ritorno del power dressing, una serie di “significanti sartoriali” che proiettano autorità, alto status sociale e importanza. La Bibbia del power dressing erano i manuali Dress for success di John T. Molloy che, di base, suggerivano di rendere più severa e mascolina la parte superiore del corpo mantenendo aspetti femminili nelle gonne e negli accessori, de-sessualizzando e de-oggettificando il corpo femminile aiutando le donne a porsi come presenze autorevoli sul luogo di lavoro. L’idea era quella di creare una severità genderless che eliminasse la frivolezza percepita del guardaroba femminile e riecheggia bene con i valori della nuova ondata femminista che definisce la nostra epoca. Il secondo, forse un po’ più cinico, riguarda il quiet luxury: quando colori e capi si semplificano, appiattendosi sul puramente sartoriale, volumi e materiali finiscono in primo piano e dunque diventa necessario, per dare carattere e identità a capi abbastanza generici, creare una silhouette più incisiva. La maniera più facile di creare una silhouette forte è, banalmente, imbottire le spalle, riecheggiando anche il trend “cappotto da uomo su una donna” che quest’anno si è espresso in tutta la sua potenza.