
La vita diventa teatro nella SS24 di Balenciaga E adesso parla Demna
Nel mondo della moda ci sono stilisti e poi ci sono visionari. Demna Gvasalia, la mente creativa dietro Balenciaga, indubbiamente rientra nella seconda categoria. Con ogni sua collezione, non propone semplicemente abiti; crea esperienze, e il suo ultimo show SS24 non fa eccezione. È un omaggio all'arte di creare abiti come espressioni personali di identità e comunità – ma soprattutto è una sorta di liberatorio diario visuale di Demna che oltre a includere i suoi cari nel cast (sua madre ha aperto la sfilata, il marito Loïk Gomez l’ha chiusa, e c’erano poi professori dell’accademia di Anversa, muse personali, direttori make-up, curatori di musei, il direttore PR del brand, la critica Cathy Horyn e via dicendo) ha fatto dello show una sorta di rassegna di tutti i suoi stilemi applicati agli outfit di ogni occasione, dal red carpet al supermarket, includendo come dettaglio ricorrente un biglietto del treno per la tratta Parigi-Ginevra, dettaglio che secondo Elias Medini prelude a un prossimo addio di Demna al ruolo di direttore creativo ma che in realtà potrebbe essere indicativo del viaggio mensile che il team di Balenciaga fa a Ginevra dove si trova lo studio di design del brand. Portando in passerella e spettacolarizzando tra rosse quinte teatrali la trafila di amici, familiari e colleghi, Demna racconta sé stesso e l’estetica con cui ha ridato nuova vita a Balenciaga suggerendo al pubblico come quella stessa estetica sia la somma delle identità singole che compongono la community più stretta del brand - e aggiunge anche un elemento di sogno convocando le sue muse e anche Amanda Lepore e Kim Kardashian (la cui foto è stata aggiunta in post dato che lei non era alla sfilata fisica) per indossare i suoi abiti da sera, come a evocare la sua satirica, oscura, distorta visione del glamour e del divismo. Persino la colonna sonora, come sempre firmata da Loïk Gomez e con la sincopata voce di Isabelle Huppert in sottofondo che legge con grande e ansiogena concitazione un vecchio manuale di sartoria.
Il primo look stabilisce immediatamente il tono, presentando Ella, la madre di Demna, che indossa una giacca composta di tre giacche vintage diverse, destrutturate e riassemblate in maniera da ricreare artificialmente l’effetto di un cumulo di vestiti gettati alla rinfusa – ma perfettamente indossabile. Sempre per giacche e cappotti, di cui esiste una serie sovradimensionata e quasi cartoonesca, è stato applicato un effetto bidimensionale che appiattisce e raddrizza le spalle, creando un look power shoulder molto anni ’80 (a noi ha ricordato l’iconica silhouette di The Babadook meno il cappello a cilindro) ma senza utilizzare spalline o altri supporti. In entrambi i casi, tornano i grandi topoi di Demna del capo sovrapposto e raddoppiato e quello del trompe-l'œil. Altro grande capitolo del proprio linguaggio che viene riesplorato è il “normcore ingannevole” di tute da jogging, buste di plastica del supermercato, pantaloni con coulisse, accappatoi e track jacket ma anche i borsoni da viaggio artificialmente “piegati” per sembrare ancora più disordinati.
Posto che la collezione ritorna a visitare, in senso metaforico, i luoghi cari di Demna, le sue soluzioni di design, il suo linguaggio, pare di assistere a un ritorno di entusiasmo del designer georgiano, a una riapertura del suo mondo dopo la parentesi riduzionista e la buona condotta delle ultime stagioni passate lontano dal trambusto dei media. Questo ritorno, o dovremmo dire volontà di riaffermazione di una propria poetica e di un proprio linguaggio, non è stata solo anticipata dalla video-intervista col designer che Cathy Horyn ha fatto proiettare alla Triennale di Milano due settimane fa, ma è stato anche un doveroso promemoria dell’importanza di una voce autoriale strutturata e autonoma in un’industria della moda il cui timone pare essere stato dirottato dai dipartimenti di marketing. Se a prima vista la collezione sembra “molto Demna”, in effetti, converrebbe forse interrogare noi stessi come pubblico e come critica sulla sempiterna questione dei designer ripetitivi, della divisione tra continuità e stanchezza creativa. In questo senso Demna è un grande prestigiatore, un equilibrista tra il virtuosismo concettuale e la trovata commerciale, il punto d’incontro tra il genio concettuale e il venditore brillante – per certi versi, il ritratto più lucido e scioccante di cos’è la moda oggi. Nell’ultimo fashion month si è chiarito più che mai quale fosse il vero fascino della moda d’autore rispetto a quello della moda industriale, creata a tavolino e a prescindere da ogni orientamento estetico, il tratto comune a tutti gli autori è l’entusiasmo che sa suscitare nel pubblico, il momento che è in grado di creare. E Demna non è riuscito solo a ricordarci del “momento” ma è tornato a riprenderselo e dirci che è tutto suo.