
La poetica del viaggio e della cultura di Romeo Gigli Uno dei designer più innovativi del ventesimo secolo
Nell’Olimpo dei designer italiani storici, quelli cioè che hanno definito il corso del ready-to-wear o della haute couture in modo significativo e che hanno cementato un percorso poi seguito da tutte le generazioni successive, ci sono sicuramente nomi come Valentino, Gianfranco Ferré, Krizia, Giorgio Armani, Franco Moschino, stilando un elenco non esaustivo. Vi è anche un creativo che nonostante si sia più volte distinto con splendide collezioni, spesso imitate e replicate, non ha però ricevuto quel giusto riconoscimento che avrebbe meritato. Si tratta di Romeo Gigli. Il suo percorso inizia con gli studi in architettura che non porta mai a termine; in giovanissima età comincia a viaggiare per circa una decina d’anni, soprattutto nei paesi dell’Estremo e del Medio Oriente, assorbendo quanto più possibile da questi mondi così lontani che lo influenzeranno profondamente, specialmente a livello stilistico. Tornato in Italia con un ricchissimo bagaglio culturale e una collezione di “reperti tessili” di eccezione inizia a lavorare per Callaghan, brand di Zamasport per il quale aveva lavorato anche Gianni Versace.
Il brand nato nel 1983 è stato lasciato da Gigli nel 2004, pur continuando a esistere senza il suo fondatore. Questo è solo un altro esempio di come questo tipo di creativi “d’altri tempi”, sebbene abbia provato a tutti di essere brillante con il proprio lavoro e la propria inventiva, non sia compatibile con le dinamiche di mercato della moda contemporanea che difficilmente accolgono un tipo di visione così intellettuale, artistica, e anche carica di storie, privilegiando il successo commerciale a tutti i costi, le vendite da capogiro e la diffusione su scala globale. Tutte necessità molto lontane dal lavoro e dalla poetica di Gigli.