
Il revival gotico delle croci nella moda Blumarine, Dolce&Gabbana, Gucci: la simbologia cristiana in passerella
«Occupandosi a pieno titolo del mondo, il cristianesimo ha rinunciato alla gestione del sacro» scrive Umberto Galimberti nel suo libro Cristianesimo, la religione del cielo vuoto. In effetti, che ci si definisca credenti, agnostici o atei, è innegabile che la religione cristiana e in particolare il cattolicesimo abbia segnato profondamente la società occidentale, sino al sistema economico che la definisce, uscendo spesso dal seminato della trascendenza. Ed è così che una simbologia che ci si aspetterebbe essere relegata agli altari delle chiese o ai rosari di donne devote, invade il nostro modo di vivere, pensare, agire, e diluita nella sua essenza ideologica atterra su capi in poliestere prodotti in fabbriche del terzo mondo, su t-shirt di gruppi rock indossate da ragazzine emo in piena crisi adolescenziale, su piatti di plastica come decorazione a forma di ex-voto fiammeggianti. La croce in particolare, l’emblema di Cristo e del suo sacrificio, ha saputo sopravvivere allo scorrere del tempo e mutare, da primo rudimentale segno inciso dalle popolazione preistoriche a faro di una rivoluzione goth, che, da Blumarine a Dolce&Gabbana, ha segnato un revival tutto italiano della simbologia cristiana sulle passerelle delle scorse stagioni.
Ci sono poi brand che sull’identità grafica della croce hanno fondato la propria intera estetica, persino il logo, da Alexander Levy con Enfants Riches Deprimes alla famiglia Stark per Chrome Hearts. Celeberrimo il denim da 1.750 dollari ornato da croci in pelle del brand, diventato onnipresente tra i grandi rapper come Drake e Offset, ed erano proprio Chrome Hearts le due croci sfoggiate da Kim Kardashian durante l’ultima sfilata di Dolce & Gabbana, sulla scia di una passione per gli accessori importanti che aveva portato la star ad acquistare all’asta il pendente appartenuto a Lady D per 197 mila dollari.