A Milano la moda non è più fatta per la Gen Z È finalmente arrivata l’ora della sciura?

Che l’intera industria della moda stesse flirtando pesantemente con la Gen Z non era un mistero – tanti sono i prodotti visti nelle scorse stagioni che danno l’impressione di essere pensati per diventare virali su TikTok. Nelle scorse fashion week c’era stata in effetti la sensazione che l’intero apparato del luxury fashion fosse interamente assoggettato alla supremazia del content, del momento virale che esplode in rete facendo volare il media value. Quest’anno, però, le cose sono andate diversamente a Milano. Al di là di brand eccentrici come Diesel, Sunnei, Marco Rambaldi, Cormio o Roberto Cavalli – il guardaroba proposto dalle ultime sfilate viste la scorsa settimana è estremamente più signorile, più adulto. Persino Moschino ha abbandonato i palloncini colorati per i completi di tweed surrealisti ma comunque bon ton, mentre Blumarine ha organizzato uno show più cupo, serio e meno allegramente pop che in passato. I principali nomi della città, partendo da Prada e Armani e passando per Bottega Veneta, Tod’s, Jil Sander, Ferragamo, Dolce & Gabbana, Bally e Missoni (ne citeremo altri a breve) hanno optato per look più maturi ed eleganti, più adatti a una donna adulta e in carriera che a una tiktoker ventenne. Certo, il fatto che queste derive old money abbiano dominato la stagione milanese non significa che il sesso sia scomparso dalle collezioni – abbiamo avuto un gran numero di trasparenze, aderenze, nudità esibite o suggerite, non di meno molta della frivolezza Y2K degli scorsi anni pare decisamente attenuata. I brand parlano a nuovi clienti che forse non postano video su TikTok ma che probabilmente entrano in boutique per comprare un full look invece che una cintura e basta. Che la moda stia finalmente de-colonizzando e smettendo di appropriarsi delle culture giovanili in nome del binomio di attualità e novità?

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Prada
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Giorgio Armani
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Gucci
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Jil Sander
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Max Mara
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Ferragamo
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Bottega Veneta
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Bally
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Dolce & Gabbana
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Etro
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Fendi
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Andreadamo
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Calcaterra
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Del Core
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MM6 Maison Margiela
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No. 21
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Sportmax
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Philosophy di Lorenzo Serafini
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Tod's

Che la moda abbia perso fiducia nel variopinto mondo teen che, fino a qualche anno fa, saccheggiava allegramente alla ricerca del prossimo trend? In faccia a difficoltà economiche, crisi finanziarie e in un mondo in cui «le cose crollano e il centro non può tenere», i clienti della moda (quelli veri, che vengono invitati anche agli show) non vogliono baloccarsi con prodotti di lusso ironico o performativo ma sono più interessati a riaffermare il proprio status socio-economico e culturale. La moda di questa stagione milanese non provoca, almeno non direttamente, ma afferma con cognizione di causa il proprio tenore di vita e, per certi versi, la sua dignità. Lo fa in maniere ora intellettuali, ora solenni, ora decadenti e decostruttive – ma lo fa. Alle collezioni di questa stagione milanese sembra interessare poco la sexyness ostentata e l’iconoclastia mentre i brand paiono corteggiare la propria clientela creandone un riflesso idealizzato – il lusso affascina non più con la sua assenza ma con la sua apparenza più materialistica, ma non sotto forma  di meta-segnale o rimando pop, non con i loghi, ma con l’opulenza di pellicce, pizzi, pellami esotici e satin. E se, nella capricciosa Londra, J.W. Anderson può ancora vendere borse dalla forma fallica e Mowalola può fare ironie sui loghi, mentre Simone Rocha e Di Petsa si abbandonano a romantiche fantasie, a Milano pare tornata la seriosità da grande industriale, l’alterigia dei salotti altolocati e delle loro abitanti che bevono il tè da Cova e da Sissi, pranzano da Bastianello e, come canta Popa, vanno ai vernissage di Via Statuto. Che sia finalmente arrivata l’ora della sciura?