
Il multiverso della moda catalana alla 080 Barcelona Fashion Week Tre giorni di full immersion nel Recinte Modernista de Sant Pau
Se i brand che sfilano a Milano e Parigi, con le loro produzioni faraoniche e audience globali, sono metaforicamente i Marvel Studios della moda, il resto delle fashion week europee potrebbero essere paragonate al mondo del cinema indie: di scala più piccola, presentate a un pubblico di aficionados, ma soprattutto lontane dalla grandeur industrializzata dei big brand fashion shows, che nel tempo sono diventati gargantuesche macchine PR, le fashion week locali raccontano di una moda più avvicinabile e lenta, fatta di cooperazione, di duro lavoro, di un’immediatezza che è difficile ritrovare nelle articolate catene di montaggio in cui i grandi brand di oggi si sono tramutati. La più recente di queste è stata la 080 Barcelona Fashion Week, la cui programmazione si è svolta la scorsa settimana all’interno del Recinte Modernista de Sant Pau, spettacolare complesso architettonico che mescola gotico e art noveau, fatto di guglie ricoperte di ceramica, balconi decorati da draghi e Madonne, mosaici d’oro. Durante i giorni del programma si è visto davvero di tutto: dagli show in grande stile di Dominnico e Avellaneda; alle creazioni di brand indipendenti come Eiko Ai, Habey Club o Martìn Across; fino alle sfilate centrate sul beachwear di Gullermina Baeza, quelle concentrate solo sugli abiti da sera come Reveligion, passando per la collezione 080 Reborn creata da Firmin + Gilles usando solo abiti vintage o la collezione-amarcord dei primi anni 2000 di Custo Barcelona, che ha organizzato uno show gemello di quello visto alla scorsa New York Fashion Week.
Tra gli highlight più eccentrici della programmazione, e usiamo la parola eccentrico nel senso etimologico di “decentrato rispetto al resto”, c’è lo stupendo progetto di design di LR3 Louis Rubi che ha presentato al pubblico la propria collezione di abiti monomisura, del tutto regolabili sul corpo di chiunque, attraverso un’esperienza in realtà virtuale a cui è seguita, subito dopo, la presentazione fisica degli abiti su manichini sospesi a mezz’aria che con le proprie forme imitavano le tipologie corporee più diverse. L’esperienza è esportabile e, come lo stesso Louis Rubi ha detto, diventerà itinerante attraverso il mondo, dal Giappone a Milano, portando in effetti un concept davvero innovativo all’interno di un’industria attaccata alla sua stessa commercialità come a un respiratore. Proprio questo progetto è il più espressivo di un’intera manifestazione che dimostra sempre di più come le community della moda europea vadano distaccandosi dall’egemonia culturale di Milano, Londra, New York e Parigi acquisendo una propria voce che diventa sempre più sicura e forte con il passare del tempo e che dimostra come il nome di “industria della moda” nasconda al suo interno non una ma molteplici realtà – un multiverso che emerge sempre di più verso la luce del sole.