Cosa ci insegna il successo di Shein a Milano Poliestere ne abbiamo?

L’altroieri ha aperto in Piazza Gae Aulenti il primo pop-up italiano di Shein. Le prime foto di questa mattina che si vedono sui social mostrano un’adunata di giovani e giovanissimi che, prevedibilmente, si ammassano di fronte all’ingresso pronte ad acquistare a buon mercato magliette, gonne, scarpe, borse e ogni immaginabile prodotto ma anche a fotografarsi o filmare video per TikTok nell’angolo social-friendly che il negozio ha dedicato ai vari hashtag e geotag. Ancora una volta, come successo già all’inaugurazione di Primark in Via Torino, il fast fashion dimostra  di tenere l’immaginazione, il cuore e il portafoglio della Gen Z in una presa strettissima – il motivo di questo successo è, chiaramente, economico: abiti da cocktail a 5€, gonne che si attestano tra i 7€ e i 10€, tacchi a 20€ e naturalmente borse rip-off e prudentemente non logate a 30€. La cosa che stupisce maggiormente, per chi guarda la questione da dentro la bolla culturale della moda, è la polarizzazione delle opinioni intorno al marchio cinese: se all’intero della suddetta bolla Shein è guardato con un certo disdegno per tanti motivi; al di fuori della bolla, per giovani e non, è visto come una specie di manna dal cielo, il brand che allevia la peer pressure del capitalismo in un mondo in cui anche Zara sta cominciando a diventare salato per alcune fasce di pubblico. Il problema dunque non è tanto Shein come fenomeno, ma Shein come conseguenza di un’industria della moda che da un lato istiga il pubblico a consumare con ogni mezzo ma dall’altro continua a escluderlo con la barriera del pricing in un pericoloso gioco al rialzo.

«Don’t hate the player, hate the game», si dice. E in effetti come si fa a incolpare il pubblico per la sola volontà di vivere quel sogno che gli viene promesso ma mai dato? Il successo enorme di Shein va attribuito non tanto al suo specifico business model ma al funzionamento dell’industria tutta. Qualche mese fa, un’attivista di Youth for Climate France ha accusato LVMH di riempire «gli spazi pubblici di pubblicità e ispirare la popolazione a consumare oltre ogni limite, inclusi quelli che non possono permettersi i loro prodotti». Dopo tutto è l’aspirazionalità della moda ad aver decretato il successo di Zara ed H&M in passato, così come quello di Shein oggi e di tutti gli altri brand, di lusso o meno: l’alta marea solleva tutte le barche.