L’eterna e contraddittoria estasi della rockstar Ovvero, lo strano rapporto della moda con ciò che resta del rock

Ieri, dopo molti mesi d’attesa, il biopic Elvis di Baz Luhrmann è arrivato nelle sale italiane. La release e il successo del film sono legati tanto al mito della prima rockstar della storia che a quello del suo stile – stile che, nella pellicola di Luhrmann, è quasi più roboante e infiammato che nella vita vera e che ha già coinvolto, nelle fasi preliminari della sua release, due pesi massimi della moda: Miuccia Prada, che ha collaborato con la costumista Catherine Martin per firmare gli outfit dei personaggi del film con pezzi di archivio di Prada e Miu Miu rivisitati per l’occasione; e Hedi Slimane, che ha iniziato a vestire la star del film Austin Butler in tutti i suoi eventi e red carpet, al fianco della sua fidanzata, la modella Kaia Gerber, già da anni uno dei volti simbolo di Celine e delle sue campagne. Sempre negli ultimi giorni, Hedi Slimane ha arruolato una delle più iconiche rockstar dei nostri tempi, Jack White, per la sua serie Portrait of a Musician. Durante l’ultima Milan Fashion Week, invece, Alessandro Michele ha co-disegnato la capsule collection Gucci HA HA HA insieme a Harry Styles, che è più una star del pop che del rock, ma le cui parentele stilistiche con David Bowie (e dunque la cui ascendenza rock) sono inconfutabili. E a questo si aggiunge anche il recente stringersi del rapporto tra Gucci stesso e i Maneskin e alla presenza della musica del gruppo rock islandese Kaleo nelle pubblicità del profumo di Emporio Armani, ma anche alla presenza, allo show di Dolce & Gabbana dello scorso gennaio, di Machine Gun Kelly, che dopo aver frequentato la scena rap si è riciclato rockstar. La domanda dunque sorge spontanea: la moda è tornata a innamorarsi della chitarra elettrica?

Sketch di Prada per i costumi di "Elvis"
Jack White by Hedi Slimane for Celine "Portrait of a Musician" Series
Maneskin in Gucci Aria Campaign
Gucci HA HA HA Collection
Lenny Kravitz for Saint Laurent FW20 Campaign
Machine Gun Kelly at Dolce & Gabbana FW22 Show
Saint Laurent SS15
Number (N)ine SS03
Ann Demeulemeester SS97
Raf Simons FW98
Raf Simons SS22
Undercover SS06
Vivienne Westwood FW10
Amy Winehouse
XXXTentacion
Juice Wrld
Lil Peep

Ripulito delle sue attitudini violente e oltraggiose, rivestito di paillettes e androginia, il glam rock rappresenta forse la reference centrale per stylist ed editor di oggi, insieme alla scena psichedelica e allo stile personale dei vari Jim Morrison, Mick Jagger, Jimi Hendrix, dei Beatles e via dicendo. La giocosa corrente glam, che rifiutava le incendiarie velleità anarchiche del rock precedente, che abbracciava la commercialità delle audience di massa, si ribellava alla ribellione del rock anni ’60, gettandosi a capofitto nella teatralità e nel poliformismo di cui i nostri tempi bramosi di stimoli sensoriali sempre nuovi hanno bisogno. Harry Styles, i Maneskin, l’Elvis di Baz Luhrmann (che è diverso da quello storico), Machine Gun Kelly e persino lo scandaloso Marilyn Manson sono tutti figli, chi più e chi meno, del glam rock. 

Nello specifico, proprio con Harry Styles, si ravvisa la maggiore differenza tra rockstar di oggi e di ieri: in questi giorni circola un video in cui Styles interrompe un concerto per trovare nel pubblico la sua vecchia maestra di scuola e la ringrazia in ginocchio in mezzo al pubblico in delirio – praticamente un’apoteosi dei buoni sentimenti che mostra bene di che tipo di figura pubblica abbia appetito la nostra società. La wholesomeness sostituisce la edginess, l’adesione alle cause umanitarie subentra al posto di eccessi e sregolatezze e persino il sesso, così ostentato dai Maneskin sempre seminudi, allacciati in pose orgiastiche e ricoperti di cinghie sadomaso, non si traduce mai in atteggiamento borderline ma rimane una decorazione, un elemento puramente performativo che viene dismesso, a fine concerto, insieme ai costumi di scena. 

Cosa resterà dunque della rockstar? Un paio di stivali a punta, smalto nero sulle unghie, un chiodo di pelle sovraprezzo? Oppure il rock è un’attitudine, una ribellione? Ma ribellione verso cosa e verso chi? L’ossessione che il mondo della moda e della cultura pop prova verso le rockstar è solo la dimostrazione che, nella nostra società, non c’è più spazio per quelle controculture la cui memoria andiamo evocando così avidamente. Le nostre icone non sono più sovversivi e sediziosi che danno fuoco alle chitarre sul palco ma semplice brava gente, persone gentili e tolleranti, magari che hanno pure smesso di fumare durante la pandemia e che droga e alcol non li hanno visti mai visti nemmeno da lontano (o almeno così dicono). Eppure era quella cattiva gente che negli anni ci ha procurato le icone che oggi i brand riproducono in serie e ci rivendono nelle boutique sotto le rischiose ed eccitanti spoglie di una ribellione pre-confezionata, igienizzata e, tutto sommato, innocua. Ai posteri l’ardua sentenza.