Tutti i fake portano in Turchia Alla scoperta del mercato di moda contraffatta più grande al mondo

Se anche voi amate esplorare la colonna dei video correlati su YouTube, vi sarà capitato di imbattervi in uno di quei vlog dal Gran Bazaar di Istanbul in cui lo youtuber di turno si lancia in un viaggio in quello che è il terzo mercato di falsi più grande al mondo dopo Cina e Hong Kong. Cris4tay ad esempio, youtuber newyorchese con circa 6mila iscritti, è stato uno degli ultimi ad avventurarsi in quel mondo fatto di borse «non di pelle e nemmeno di plastica» in cui passaggi segreti rivelano enormi stanze ricolme di falsi di qualsiasi brand. «Le nostre vendite sono raddoppiate nel 2021, è un vero affare se compri in dollari o euro» aveva detto il proprietario di uno degli store di Istanbul al Guardian. La perdita di valore della lira turca e i problemi dell’economia locale sono stati due degli ingredienti principali del successo del mercato turco, diventato il luogo ideale per acquistare item da rivendere poi in altri paesi. Un giro d’affari milionario, come emerso qualche anno fa dall’operazione «Gran Bazar» in cui la Guardia di Finanza di Napoli aveva arrestato 53 persone, colpevoli di importare capi contraffatti provenienti dalla Turchia per poi rivenderli in boutique di Lombardia, Veneto, Toscana e Puglia. Storia simile quella che lo scorso anno ha portato al sequestro di 23mila capi falsi da parte della Guardia di Finanzia di Milano o che lo scorso marzo ha portato al fermo di un uomo colpevole di aver introdotto in Italia, partendo proprio dalla Turchia, dodici orologi falsi.

Un report pubblicato da Reuters nel 2016 ha rivelato l’impiego di bambini rifugiati siriani all’interno delle fabbriche turche, mentre lo stesso anno BBC Panorama ha parlato di uomini e bambini provenienti dalla Siria impiegati all’interno di fabbriche che producevano capi d’abbigliamento. Ma se la lotta al mercato dei falsi può sembrare persa in partenza, la responsabilità di provare a contrastarla ricade tanto sugli acquirenti quanto sui brand. Se chi compra è obbligato a farlo in modo responsabile, i brand dovrebbero agevolare l’acquisto rendendo i propri prodotti facilmente reperibili puntando soprattutto su una supply chain sostenibile e responsabile. Ma come in tutti i casi la soluzione è quella più semplice e mai come in questo caso è la domanda a creare l’offerta dando a chi compra la possibilità di fare una scelta in cui la posta in palio va ben oltre una semplice sneaker.