Le fantasie siderali di Alessandro Michele con Gucci Cosmogonie Ieri notte, sotto un cielo di stelle, è andato in scena l’ultimo show del brand

Un Castel del Monte ricoperto di stelle e comete, sotto un plenilunio che illuminava le campagne pugliesi, è stato il fondale dello show Gucci Cosmogonie, la collezione SS23 di Gucci, sulla cui front row sedevano un numero imprecisato di star, da Lana del Rey, ai Maneskin, passando per Mark Ronson e Alessandro Borghi. L’invito della collezione, che includeva un disegno delle fasi lunari e il certificato di adozione di una stella, faceva presagire un tema astronomico o esoterico. Le show notes invece hanno utilizzato il senso della parola “costellazione” nel senso semiotico del termine – ossia quello di connessione in un unico disegno coerente di punti solo in apparenza separati tra loro. Su questo tema si è costruito il discorso delle show notes, che hanno recuperato la vicenda del filosofo suicida Walter Benjamin e di Hanna Arendt, creando un parallelismo tra il primo e Alessandro Michele – entrambi «pescatori di perle», entrambi eclettici citazionisti, compilatori di references che, messe tutte insieme, creano un mondo. E così è stata la collezione che, lungi dal legarsi al tema medievale della location o a quello astronomico del cielo stellato, ha invece sfruttato il set onirico di Castel del Monte, le fumate drammatiche, le luci e i suoni per creare una sorta di surreale carosello in cui apparivano visioni di creature fantatiche, il cast immaginario di un’epica pièce teatrale o, come dicono le show notes, «inedite configurazioni di realtà capaci di rompere i vincoli della tradizioni».

È chiaro, potremmo aggiungere, che Michele si è trovato pienamente a suo agio nel creare questa nuova collezione, sbizzarrrendosi insieme al suo team per esplorare non solo location diverse ma anche messe in scena spettacolari – che sono poi il fondale migliore per lo specifico tipo di reverie in cui Michele si è specializzato. Questa collezione, ad esempio, proprio come Gucci Love Parade, possedeva un respiro più ampio, un numero di look superiore al centinaio e un qualcosa di monumentale: tutti segni di una fantasia che si realizza non solo per merito della collezione in sé, ma anche della location, della vision che la ispira, della sintonia delle tanti parti mobili che stanno dietro al “momento” dello show come punto più alto della comunicazione/espressione del brand. Parlando con WWD, Michele ha paragonato la moda a «un grande coro», un richiamo alla collettività, ai vari elementi che, per citare il salmo, convenerunt in unum – esattamente come i molti astri diversi che compongono la medesima costellazione.