
Il ritorno del preppy nel menswear Nuova formalità o nuova comodità?
Negli ultimi anni l’estetica dark academia ha raccolto 1,8 miliardi di views su Tiktok, segnalando un progressivo ritorno del guardaroba preppy nel gusto del pubblico e finendo per trovare un suo riflesso nelle collezioni di moda menswear con un revamping del completo maschile (anche se rivisto e aggiornato per i tempi moderni), una forte insistenza sui cappotti come statement piece e una rilettura di quei codici rappresentativi dello stile college editati per ispirarsi a quel mondo lasciando fuori la sua inerente repressività e omologazione espressive. Il bello del preppy è che è uno stile che richiama la formalità ma senza definirla in termini eccessivamente stretti – può essere qualcosa di allegro e vivace come l’ultima collezione Gucci Pineapple o qualcosa di vagamente dark e vampiresco come la collezione d’esordio di Egonlab che ha praticamente aperto la scorsa Paris Fashion Week. Con il suo primo show per Kenzo, anche Nigo ha supportato la causa del preppy mentre Miuccia e Raf da Prada hanno portato in passerella una serie di look grigi molto formali ripensando la struttura del classico, solenne doppiopetto maschile. La lista potrebbe proseguire. Il caso più eclatante, però, è stato quello di Dior Homme dove, applicando al menswear gli stilemi della couture femminile, Kim Jones ha reso progressista una serie di codici di abbigliamento tendenzialmente conservatori, con tanto di camicie azzurre sotto i pullover, completi total grey o total cream e un decorum classico che non è mai sembrato, in nessun momento, rigido né retrogrado.
Il ritorno del macro-trend è apparso in passerella anche negli ultimissimi giorni alla London Fashion Week: Stefan Cooke, Ahluwalia, Kaushik Velendra e Daniel Fletcher hanno tutti ripensato knitwear formati, completi e outfit dal sapore più sartoriale sulle proprie passerelle. Ma forse la sua vera locomotiva è stato il lento ma costante spostamento degli ex-designer di streetwear americani su questa nuova formalità: Teddy Santis sarebbe il primo, il creatore di un’estetica visuale che ora domina l’80% del mercato high street; l’altro è Rhuigi Villaseñor che quest’anno avrebbe pure dato a Rhude la consacrazione della passerelle se non fosse stato per la variante Omicron; lo stesso si potrebbe dire di Tremaine Emory e Brendon Babenzien che hanno innestato in varia misura i codici del college clothing sul fusto dello streetwear. Dopo tutto, avant garde a parte, è difficile fare sembrare lussuoso lo streetwear/sportswear nel 2022, dopo che uno tsunami di brand vecchi e nuovi, alcuni semi-immortali e altri dalla vita cortissima, hanno affogato il mercato in hoodie e puffer jackets. A quanto pare, però, non è stata la hoodie a seppellire il blazer ma esattamente il contrario.