Cos’è il kidcore? Come la moda vuole tornare all’infanzia

«Vestiti come un adulto» è una frase che, in forme e impostazioni diverse, tutti abbiamo sentito almeno una volta nella vita. E nella cultura italiana c’è sempre stata una precisa definizione di cosa significasse vestirsi “da grande” e cosa invece fosse vestirsi “da ragazzino”. Gli adulti indossano la camicia (bianca o azzurra) sotto il pullover, pantaloni né troppo stretti né troppo larghi, scarpe preferibilmente di pelle ma, soprattutto, colori scuri, con poche concessioni fatte agli accessori. È un abbigliamento da ufficio, se vogliamo, una divisa che testimonia il grado di serietà personale di ciascuno dentro la vita di società. Eppure, due anni fa, la società è stata stravolta dal lockdown e nel generale movimento culturale che ha portato individui e società a rivalutare i propri modelli di vita, l’esigenza di “vestirsi da grande” ha cominciato a venir meno. Self-expression, liberazione del gender, fine della vita d’ufficio, nostalgia degli anni d’infanzia, ricerca della semplicità – tutte possibili motivazioni dietro la trazione che, negli ultimi mesi, ha guadagnato l’estetica kidcore che, per citare Lyst, punta tutto su «colori vivaci, accessori ispirati ai giocattoli e stampe contrastanti». Un tipo di stile che potrebbe avere la sua icona in personaggi televisivi come Jules in Euphoria o la Harley Quinn di Margot Robbie ma che in realtà possiede numerose declinazioni.

JW Anderson FW22
Marco Rambaldi SS22
Bluemarine SS22
Undercover FW21
Louis Vuitton SS21
Prada FW21
MSGM SS22
Marni SS22
Comme des Garçons Homme Plus FW22
Gucci FW20
HomerCatalogue
Balmain x Mattel collaboration
Bottega Veneta Resort 2022
Fendi FW22
Comme des Garçons Homme Plus FW22
JW Anderson FW22
Courtesy of Shoichi Aoki
Courtesy of Shoichi Aoki
Courtesy of Shoichi Aoki
Courtesy of Shoichi Aoki
Courtesy of Shoichi Aoki
Courtesy of Shoichi Aoki
Courtesy of Shoichi Aoki
Courtesy of Shoichi Aoki
Courtesy of Shoichi Aoki
Courtesy of Shoichi Aoki
Courtesy of Shoichi Aoki

L’origine di questo stile, comunque, non è TikTok ma il Giappone: sarebbe impossibile non vedere un parallelismo o comunque una parentela tra il kidcore di oggi e il concetto di kawaii sviluppatasi in Giappone negli anni ’70 e poi esplosa insieme alla popolarità dello stile Harajuku negli anni ’80 e ’90 e del lolita fashion documentati dal leggendario FRUiTS magazine di Shoichi Aoki. Se però nel caso del lolita fashion la qualità della cuteness era una parte della cultura giapponese dell’epoca, e risentiva di influssi storici, linguistici e culturali, il kidcore che oggi si è diffuso anche in occidente ha una forte componente nostalgica. Non di meno, le motivazioni culturali dietro le due estetiche si assomigliano: reagire alle imposizioni sociali e all’aderenza a ruoli di genere troppo definiti, rigettare le aspettative sociali connesse a questi ruoli, ridefinire la propria identità in contrapposizione a una serie di valori in cui non ci si riconosce ma anche guadagnare self-confidence e affermare la propria capacità di espressione. Questa ascendenza culturale è importante in quanto fu proprio con la lolita fashion che il deliberato infantilismo nella moda assunse un connotato politico.

Ciò che è più importante notare, comunque, è che il kidcore che si vede su TikTok, ad esempio nei video in cui la stessa persona cambia il suo look in base a tre o quattro stili diversi, è una versione estremamente “pura” e un po’ fittizia di se stesso e che, all’interno di una collezione di moda ad esempio, finisce sempre per diluirsi e attenuarsi ma rimane comunque riconoscibile sotto forma di una sorta di naïveté, di semplificazione apparente di forme, volumi o grafiche, di stilizzazione estrema o, al contrario, da un’esagerazione di colori e texture che replica la vivacità e il gioco dell’infanzia. Alla base, ci sono sempre i valori di semplicità e franchezza – l’ennesima ricerca di autenticità e realtà di un’industria e di una cultura che hanno esplorato tutto l’esplorabile.