
5 domande (e risposte) per chi sogna di lavorare nella moda Dalle scuole specializzate alle prospettive lavorative
Nelle scuole di moda italiane ogni anno si registrano centinaia di migliaia di iscrizioni, per un totale in costante aumento di nuovi aspiranti designer, editor o merchandiser sparsi in tutto il mondo. Nonostante si tratti di un ambito di cui all’esterno si conosce ancora troppo poco, quello della fashion industry è uno dei settori professionali più ambiti. Ma molti non sanno che spesso intraprendere un percorso in questo settore equivale più o meno ad un salto nel vuoto, specialmente per chi non ha avuto modo di avvicinarsi ai meccanismi interni del mondo della moda prima e si ritrova a scegliere un percorso di studi senza i mezzi per farlo. Oltre ad essere un ambito in costante evoluzione, la moda non è regolata da percorsi lavorativi ordinari e pre-definiti ed è per questo che, per chi sogna un futuro nel fashion industry, ottenere un quadro generale chiaro e conciso appare sempre più difficile. Pensando ai dubbi che incorniciano la scelta del proprio percorso lavorativo, gli studi specializzati agli sbocchi professionali, abbiamo preparato un ipotetico Q&A dedicato ai quesiti più frequenti.
Per lavorare nella moda serve una laurea?
No. Come dicevamo per il titolo di studio, anche avere un bagaglio culturale o professionale diverso può essere la chiave per il successo. Aree di interesse diametralmente opposte alla moda come la scienza e la giurisprudenza sono fortemente richieste dalle aziende. La motivazione è da ricercare nell’urgenza di rispondere alla tendenza sostenibile e ridurre l’inquinamento ambientale, nella necessità di fronteggiare le sempre più frequenti accuse di contraffazione e concorrenza sleale, e in molte altre dinamiche che, per realizzare delle soluzioni creative, hanno bisogno di menti che non lo sono. E se Virgil Abloh – un ingegnere che si è trasformato in designer visionario fino a diventare il direttore creativo di uno dei brand di lusso più famosi al mondo, è un esempio perfetto, il discorso è valido per i membri di Pangaia e di tutti gli altri progetti start-up e sustain-tech fondati da matematici, scienziati e ricercatori che non provengono dall’interno del fashion industry e che, come anticipato da un articolo pubblicato su Forbes nel 2019, stanno ridefinendo il significato di brand sostenibile come nessun altro avrebbe potuto fare.