
Come i Wallabee hanno definito l'estetica del 2021 Anatomia della dad shoe definitiva
Si potrebbe essere tentati di parlare, riferendosi ai Wallabeee Boots di Clarks Originals, di un “grande ritorno” avvenuto negli ultimi due anni – ma la verità è che le Wallabee non sono tornate in quanto non se ne sono mai andate. Quest’anno, però, il loro ruolo di protagonismo è emerso con una potenza che prima non c’era: un buzz culturale dimostrato dall’enorme numero di collaborazioni delle quali i boot di Clarks sono stati protagonisti: l’ultima, questo mese, con la catena di ristoranti Sweet Chicks di proprietà di Nas e Aimè Leon Dore; solo una settimana prima quella con Todd Snyder, a novembre con KITH e i New York Yankees, fine ottobre con MAGIC STICK, a settembre con One Block Down, Supreme, BEAMS BOY; a giugno con Levi’s, a marzo sempre con Beams, a febbraio e invece, nel 2020, con atmos Tokyo, Palm Angels, Raheem Sterling, END., OVO e ancora Todd Snyder e Aimè Leon Dore. E questo senza considerare la girandola di release di modelli originali in tye-dye, con suola in Gore-Tex, con dettagli in silicone o tomaie patchwork. Nel 2019, Stussy (che diventa sempre di più un oracolo dei footwear trend) ne aveva fatta una versione collaborativa mentre lo scorso agosto JJJJound aveva prodotto una simile silhouette con Padmore & Barnes – manifattura originale del boot.
Ma data l’enorme quantità di variazioni, colorway fantasiose e re-design eccentrici di cui il boot di Clarks è stato protagonista, non ci si può nemmeno accontentare di chiudere la questione definendo “rassicurante e senza tempo” il loro design. Al contrario: i Wallabee Boots hanno fatto di tutto, almeno nelle loro versioni più recenti, per ampliare, espandere e diversificare la loro offerta. Torna dunque in gioco la loro versatilità, la loro capacità di essere una silhouette che può fare contenti i tradizionalisti e gli avanguardisti – dopo tutto quest’anno ciò che è retrò è diventato, a seconda delle letture, o espressione di una tradizione auto-validante o prodotto alieno alle anonime e spesso irrilevanti innovazioni del moderno footwear design. In questo senso il Wallabee è doppiamente versatile: su un piano di semplice utilizzo in quanto scarpa formale-ma-non-troppo, smart e casual insieme (ma questo ce lo avevano già detto Ghostface Killah e il Wu-Tang Clan); sul piano del significato culturale, in quanto tela bianca sempre rinnovabile, veicolo degli ultimi trend (si vedano le versione fuzzy di Aimè Leon Dore che hanno riattivato il craze nel 2020) e soprattutto modello di una certa eleganza iper-comoda che ha mostrato al mondo della moda che allo c’è un’alternativa tanto allo streetwear quanto agli appuntitissimi stivali di Hedi Slimane.