
È arrivato il momento di tornare a fare magazine di carta? Come i contenuti editoriali si adattano ai supporti su cui si diffondono
Allo Spazio Maiocchi di Milano, 1.000 metri quadrati di loft trasformati da quelli di Slam Jam in un luogo per eventi culturali, si svolge ogni ultimo weekend di Novembre SPRINT, il salone degli editori indipendenti e dei libri d’arte. Organizzato dall’associazione non profit O’, SPRINT offre spazio gratuito ad una selezione di pubblicazioni di editori indipendenti che difficilmente avrebbero visibilità fisica in altro modo. Quando ci sono stato il mese scorso - dopo essere stato severamente redarguito dai miei ganci millennials Giulia Geromel e Sofia Del Bene perché non sapevo cosa fosse - mi sono trovato davanti ad un ribollire di gente interessata alla creatività in formato cartaceo e da nostalgico delle stamperie mi è sembrato di essere atterrato nel passato. Che invece era un posto nel presente e forse un pò nel futuro.
Il tema della gestione della qualità dei contenuti è ciò che emerge in forma di pressante richiesta da questo ritrovato amore per l’editoria cartacea e per quanto sia possibile trovare approfondimento anche alto sui social media questa osmosi è solo all’inizio. Fare giornali di carta pesanti, costosi, lenti, difficili e profondi non dovrebbe essere il modo per mettere una medaglia al valore su progetti che si nutrono in realtà di velocità e superficialità ma dovrebbe diventare un mezzo formativo per chi la pesantezza e la lentezza le ha incontrate solo sui banchi del liceo e le ha odiate e per chi, vivendo ogni giorno guardando un telefono, potrebbe scoprire che la qualità dell’approfondimento ha qualcosa di intrinsecamente attraente. Molto, ma molto di più di un balletto di suore.