
Siamo entrati nell’era dello slouchy dressing? Tra sciatto e chic il passo è breve
Lady Gaga è stata la star indiscussa del lungo press tour di House of Gucci, l’attesissimo film di Ridley Scott. Eppure, nel corso dei molti red carpet che hanno accompagnato le varie premières del film un’altra co-star ha attirato l’attenzione di pubblico e stampa per i suoi outfit: Jeremy Irons. Sia alla première di Londra del film che a quella di New York, l'attore 73enne si è presentato con outfit boho-chic estremamente rilassati e casual, con dettagli come i pantaloni infilati nelle calze, uno zuccotto crochet, stivali rovinatissimi, vecchi gilet, lunghe giacche alla coreana. Nessuno di questi look è particolarmente notevole in sé eccetto per il fatto che è in aperta rottura con lo stile iper-sofisticato e artificioso delle altre co-star: se Lady Gaga ha indossato abiti da sera di Gucci, Valentino e Versace; e Jared Leto si è presentato con una serie di completi di velluto Gucci freschi di passerella, i look di Irons sembrano essere stati composti senza l’aiuto di stylist, con abiti già in possesso dell’attore – questo spiegherebbe tanto l’originale naturalezza di quei look quanto il loro aspetto trascurato e nonchlant.
Oggi le cose sono diverse, al punto in cui molti si sono domandati se lo status di moderna icona di cui gode, ad esempio, Zendaya sia da attribuire all’attrice stessa o al suo stylist Law Roach, mentre negli ultimi mesi Kim Kardashian e Kanye West hanno indossato esclusivamente Balenciaga come testimonial ufficiosi del brand e dunque in maniera sicuramente riuscita ma anche acritica e per fini puramente commerciali. La curation, cioè, è aumentata moltissimo sia per le strade che sul red carpet contribuendo a creare look sicuramente più elevati ma anche molto meno spontanei e naturali e dunque più aderenti a un’immagine pubblica studiata a tavolino che espressivi di una attitude e uno stile davvero personali. Per questo, di recente, queste celebrity vestite con una totale negligenza hanno affascinato il pubblico: la sciatteria di Thimotèe Chalamet, le silhouette da “sedia dei vestiti” di Justin Bieber così come i red carpet look di Jeremy Irons sembrano molto più veri dei costumi iper-studiati di Kim Kardashian, degli outfit sempre coordinati dei BTS e dei Maneskin ma anche degli street look di Bella Hadid che, per quanto sempre piacevolmente informali, contengono sempre l’ultimo pezzo hype costosissimo e introvabile messo in commercio. Qualcosa di simile è avvenuto anche sui social dove, ad esempio, a entrare nel novero dei #Grailfits di Grailed, ci sono solo look self-styled e dunque espressivi del gusto estetico di chi li indossa con una particolare attenzione al distressing dei capi, all’item vintage più inconsueto o d’archivio e, insomma, a quella dicotomia invisibile ma sempre presente fra sprezzatura e affettazione, tra culto delle pieghe e dei piccoli difetti e artificiosa cura maniacale di un total look tanto idealizzato quanto plasticoso e poco relatable.
Nel pubblico della moda sembrerebbe stare sorgendo una nuova consapevolezza che crea una distinzione tra i look “commerciali” e quelli “sinceri” – con un maggiore apprezzamento istintivo che va a questi ultimi proprio in ragione della loro autenticità. E se in effetti si considera come l’idea di realness sia diventata il rompicapo più elusivo per i brand, con clienti che cercano la realness del design con la moda d’archivio, la realness dei prezzi con il vintage e il secondhand, la realness dell’artigianato e delle costruzioni con la mania per il DIY, il fatto a mano, il distressing, il successo virale degli slouchy look visti nel corso delle ultime settimane fa presagire una imminente ribellione del pubblico al dominio degli algoritmi social sui trend della moda e un ritorno verso una nuova sincerità.