
Cosa racconta il menswear della nostra cultura? Ne abbiamo parlato con Jacob Gallagher, columnist del WSJ e autore del libro "The Men's Fashion Book"
“Si può guardare all’abito maschile come al barometro dei macro-cambiamenti culturali. Ci sono generazioni che hanno scartato o adottato il proprio abbigliamento in base a ciò che indossavano i loro padri: negli anni '50 gli uomini indossano completi e poi nella generazione successiva smisero di usarli, mentre negli anni '70 c'è stato un revival di un diverso tipo di silhouette che è scomparsa negli anni '80 per tornare negli anni '90 con Giorgio Armani e con una nuova interpretazione del lusso”
Mi spiega Jacob Gallagher in una zoom call a un oceano di distanza. Leggere la società attraverso l’evoluzione del menswear e mappare la ragnatela fittissima di intrecci, reference e influenze è l’ambizioso obiettivo di The Men's Fashion Book, volume edito da Phaidon realizzato in collaborazione con Gallagher, Men’s Fashion Editor del Wall Street Journal. “L’obiettivo di fornire una sorta di visione aerea, come quella di una galassia, per mostrare come un designer lavori nel corso del sovrapporsi degli eventi” è restituita anche dalle dimensioni fisiche e dall’organizzazione enciclopedica del libro: 500 voci disposte in ordine alfabetico che comprendono 130 designer, 100 brand, 70 icone, 40 fotografi, 40 designer di scarpe e accessori, 30 reseller, 25 stilisti, editori e scrittori, 20 sarti, 15 pubblicazioni, 15 modelli e 10 illustratori, oltre a direttori artistici, influencer, modelli e designer tessili. “Ma ogni voce è collegata ad altre: Supreme è collegata a Stussy e a Comme des Garçons”, ci tiene a sottolineare Gallagher.
L’aspetto più interessante del libro è proprio la dualità nell’approccio creativo: da un lato la visione de zoomata di un’evoluzione culturale che abbraccia quasi un secolo, dall’altro l’intimità e la complessità sentimentale del rapporto tra gli uomini e la loro rappresentazione.