Co-luxury vs Co-local: la nuova era delle collabo di moda Fendace e Gianhartt sono i due esempi della terza era delle collaborazioni

È più di una coincidenza quella che a Milano vede protagonisti nella stessa settimana due eventi tanto lontani quanto vicini. Il primo è l'attesissima collabo tra Fendi e Versace vista nella serata di domenica scorsa, l'unione di due dei massimi esponenti del luxury che hanno usato tutto il loro potere per un evento pop in cui il senso di collaborazione si è trasformato in un pretesto per divertisti con la moda; l'altro invece è il progetto di Carhartt WIP e Giannasi, che in occasione del Pollo Arrosto Day hanno presentato una capsule stralocale che lega il brand ad una delle istituzioni del cibo più real di Milano. I due eventi che sembrano lontanissimi l'uno dall'altro, insieme spiegano come sono cambiate le collaborazioni nel mondo della moda, lo strumento che è stato il vero motore creativo dell'industria degli ultimi dieci anni e che ha portato la rivoluzione creativa dell'industria. Supreme e Off-White sono forse gli esempi più classici di brand che hanno profittato delle collabo usandole come un ascensore: salire ai piani dell'alta moda, e far scendere i brand tradizionali dalla torre d'avorio del lusso. Oggi la forza creativa di queste collaborazione si è esaurita e i brand si stanno muovendo in direzione orizzontale più che locale: da una parte c'è il co-luxury il lusso guarda al co-branding con operazioni tra pari dal respiro globale dove i loghi sono i protagonisti, dall'altra c'è il co-local cioè i brand street riprendono la dimensione locale con collaborazioni che guardano all'extra settore con un focus su una community ristretta (in quanti possono capire l'allure di Giannasi fuori dalla circonvallazione?).

Quello che molti legherebbero all'arrivo di Gucciaga dello scorso aprile, è in realtà un trend nato nel 2018 con la collabo tra Vetements e ben 18 brand e andata avanti nel tempo con Valentino x Undercover, Moncler Genius e qualsiasi altro incrocio nato in una stanza degli uffici di LVMH o Kering. Fendace è quindi solo il punto di arrivo di una pratica che nel corso del tempo ha cercato di darsi qualsiasi tipo di nome per nascondere l'evidenza, chiamandosi prima "swap" e poi “interpretation” evitando ad ogni costo il termine collaborazione per indorare la pillola e cercare di riposizionare l'idea stessa di collabo come qualcosa di più alto. Come scritto da Christopher Morency su Highsnobiety, la realtà è che molti dei brand in questione hanno ormai perso la presa sulle redini dell'industria della moda, incapaci ormai di indirizzarla a proprio piacimento e per questi costretti ad inseguire trend e idee.

Dall'altro lato dell'industria, i brand street oggi sono alla ricerca di una stabilità maggiore ora che la marea dell'hype streetwear si sta ritirando e il mercato si è stabilizzato. Per questo sono idee come quella che ha unito Carhartt WIP e Giannasi a rappresentare la bussola dell'industria, ma soprattutto a rappresentare quella fetta di brand con ancora una credibilità tale da poter decidere i trend che verranno poi ripresi dagli altri. In questo senso le collaborazioni locali guardano a chi è veramente radicato nel territorio di riferimento: ristoranti, leggende locali, negozi, gallerie d'arte bar. I vantaggi sono quelli di avere un prodotto estremamente centrato sulla community e di posizionare il brand in termini di credibilità e valori, i limiti sono ovviamente quelli territoriali, la release di Giannasi ha senso solo per chi vive o frequenta Milano e - nonostante non sia questo il caso - un rischio è di essere percepiti come elitari. In ogni caso un brand del lusso può riuscire a mantenere l'equilibrio tra co-luxury e co-local con agende diversificate: un esempio virtuoso è Gucci, che da un lato si è fatto capostipite del trend con l'hackeraggio di Balenciaga ma dall'altro riesce a portare avanti iniziative orgogliosamente locali come i concerti organizzati insieme a C2C durante la Milano Design Week. 

Insomma, il futuro delle collabo è appena iniziato.