Il debutto in passerella di Peter Do e il ritorno della moda post-ironica Un punto di svolta per la moda dei prossimi anni

Ieri a Greenpoint, a Brooklyn, in un’area aperta accanto all’East River, si è tenuto quello che forse era lo show più atteso della New York Fashion Week: il debutto in passerella di Peter Do. Non si è trattato ovviamente di un debutto assoluto – il brand ha visto la luce nel 2018, con una presentazione a Parigi che gli ha subito procurato contratti con nove grandi buyer fra cui Net-a-Porter e Dover Street Market. Fast-foward al 2020: Peter Do è fra i finalisti del LVMH Prize (ha già vinto il LVMH Graduate Award nel 2014), Anya Taylor-Joy indossa uno dei suoi abiti per il finale del Saturday Night Live ed entrambi i lookbook delle collezioni FW20 e SS21 vengono accolti con un entusiasmo unanime di stampa, di buyer e di pubblico.

Peter Do FW21 Campaign
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Prima di intervistare Peter Do lo scorso gennaio, Kat Herriman di Cultured ha fatto un’importante riflessione che spiega il suo rapido successo e, trasversalmente, anche il successo degli ex-pupilli di Phoebe Philo da Céline, fra cui figura anche Daniel Lee di Bottega Veneta. Secondo Herriman ci troviamo in un punto di svolta in cui il trend della moda ironica che nel 2015 era esploso con Demna Gvasalia e Alessandro Michele, che rispettivamente citavano e parodiavano i codici estetici della working class e dell’alta borghesia, stia per concludersi - il mercato è così saturo di brand che vogliono apparire speciali che nessuno si è più concentrato sull'essere speciale. Oggi il trend è inverso: il successo di brand come Bottega Veneta, The Row e Peter Do stesso, ma anche il ritorno in auge dell’archivio di Armani e di brand come Loro Piana e Brunello Cucinelli, evidenzia l’avvio di una moda post-ironica, che non vuole essere più paradossale e citazionista ma concentrarsi sul prodotto finale, sulla natura stessa della moda che, in termini più basici possibili, consiste nel creare e nel vendere abiti. Nel 2018, profeticamente, Peter Do spiegava a WWD:

«Penso che sia tempo di tornare alla sartoria, al produrre a New York, a sostenere l'artigianato e la gente del posto, l'autenticità, fare vestiti. Mi sento come se nessuno creasse più vestiti, tutti vogliono solo creare hype».