Da Condé Nast c'è una rivolta contro Anna Wintour I sindacati hanno organizzato un picchetto sotto la sua casa nel West Village, a New York

Sono stati mesi piuttosto complicati per Condé Nast, uno dei gruppi editoriali più potenti del mondo, che oltre a Vogue - in tutte le sue 21 diverse edizioni nazionali - controlla anche The New Yorker, W, Glamour, Marie Claire, GQ, Wired, Architectural Digest, WWD, Vanity Fair, e che vede nella figura di Anna Wintour il massimo comandante in capo, dopo la nomina dello scorso dicembre a Chief Content Officer di tutti i magazine di Condé Nast, oltre che Global Editorial Director di Vogue. Nonostante infatti i tagli dettati dalla pandemia, le proteste scaturite con il movimento BLM e una generale richiesta di cambiamento dopo 32 anni di leadership, Wintour è rimasta ben salda nella sua posizione. 

@newyorkerunion
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Nel momento più drammatico della pandemia, ad aprile 2020, Condé Nast aveva annunciato tagli agli stipendi e un generale ridimensionamento delle ore di diversi dipendenti e freelancer, tagli che avevano coinvolto tanto la divisione americana del gruppo quanto le sue diramazioni a Londra, in Italia e a Parigi. La stessa Anna Wintour aveva visto il proprio stipendio ridotto del 20%, salvo tornare a livelli pre-pandemia già a settembre dello scorso anno, una notizia che aveva generato un certo malcontento tra gli impiegati di Condé Nast, dato che Wintour è notoriamente una delle figure più pagate del gruppo. A maggio dello scorso anno Condé Nast aveva inoltre annunciato il licenziamento di 100 dipendenti, mettendone in aspettative altrettanti, tagliando ore lavorative e stravolgendo di molto l'organizzazione interna, in un tentativo per nulla nascosto di tagliare i costi. 

I vari tagli e ristrutturazioni coincisero con i primi scontri tra il sindacato del New Yorker e i manager dell'azienda, in seguito alla richiesta del sindacato di inserire un criterio di "giusta causa" nei contratti, un modo per evitare licenziamenti indiscriminati e tutelare i posti di lavoro. Dopo le proteste di BLM e le varie accuse contro Wintour e Condé Nast di aver creato e favorito un ambiente di lavoro non inclusivo e che favoriva l'avanzamento di carriera di persone bianche, culminato nell'affaire Teen Vogue, in cui la neo editor Alexi McCammond fu costretta a dimettersi dopo il ritrovamento di suoi vecchi tweet razzisti, i vari sindacati avevano messo in luce anche i diversi salari che spettano ai membri della comunità nera, ispanica, o asiatica, in media di gran lunga inferiori rispetto a quelli dei loro colleghi bianchi. 

Sebbene le proteste vadano avanti da oltre un anno, sembra essere arrivato un momento cruciale nelle richieste e soprattutto nelle azioni intraprese dai sindacati, che ritrovandosi sotto il lussuoso appartamento di Anna Wintour vogliono lanciare un segnale forte, che va oltre i semplici salari, ma che vuole invece essere un monito per un cambiamento più grande, per una ristrutturazione profonda, che parta dalla donna che ha guidato Vogue per trent'anni.