Il nuovo film Disney “Cruella” demonizza la moda? Il film con Emma Stone è bello ma continua a raccontare la moda tramite i soliti cliché

Arrivato su Disney Plus lo scorso venerdì, Cruella è stato un film particolare rispetto a quelli che si trovano sul catalogo Disney. Nella sfilza di remake live-action dei grandi classici a cartoni animati con cui intere generazioni sono cresciuti, il film è sicuramente una proposta più matura e dark – tanto più che è ancorata a una sorta di realtà storica, la Londra degli anni ’70, e riguarda un mondo più concreto che fiabesco: la moda. Il film ha indubbiamente i suoi fashion moments (uno in particolare, il nostro preferito, include un camion della spazzatura e un gigantesco strascico di decine di metri) ma una voce molto autorevole, quella di Vanessa Friedman, si è levata dalle pagine del The New York Times per accusare il film di propagare lo stereotipo di una moda “tossica”:

«E così continua la demonizzazione della moda; il suo ruolo di immagine di tutto ciò che è moralmente corrotto e venale nel mondo continua. È uno dei luoghi comuni più amati, anche se sempre più inani, di Hollywood. Da quando esistono film ambientati nell'industria della moda, quel mondo è stato ritratto come un pozzo nero dorato di caricature, rivalità infantili e crimini occasionali, con un sistema di valori contorto lontano dalla vita quotidiana – non importa se il film in questione sia una commedia, un dramedy, una satira o un musical».

Ma come si parla della moda in Cruella?

Meryl Street in 'Il Diavolo Veste Prada' (2006)
Ewan McGregor in 'Halston' (2021)
Daniel Day Lewis in 'Il Filo Nascosto' (2017)
Will Ferrell in 'Zoolander' (2001)
Sofia Loren e Marcello Mastroiann in 'Prêt-à-Porter' (1994)
Dior & I (Frédéric Tcheng, 2014)
Dior & I (Frédéric Tcheng, 2014)
Dior & I (Frédéric Tcheng, 2014)
Dior & I (Frédéric Tcheng, 2014)
Dior & I (Frédéric Tcheng, 2014)
Dior & I (Frédéric Tcheng, 2014)
Dior & I (Frédéric Tcheng, 2014)
Dior & I (Frédéric Tcheng, 2014)
Dior & I (Frédéric Tcheng, 2014)
Dior & I (Frédéric Tcheng, 2014)

Ciò che il pubblico mainstream conosce della moda sono spesso i lati negativi: dalla soap opera che era diventata la vita della famiglia Gucci negli anni ’80 fino ai vari scandali sul mondo del modeling, arrivando fino a vicende recenti come il party berlinese di Bottega Veneta, la vicenda delle molestie di Alexander Wang e i “furti” di Balenciaga ai danni di designer indipendenti – molte delle notizie che hanno visibilità sono quelle meno piacevoli. Allo stesso tempo la realtà è più stratificata e complessa di così e spesso la si ritrova meglio rappresentata nei documentari. Uno dei migliori e più celebri è Dior and I, che racconta l’esordio di Raf Simons come creative director di Dior nel 2012. Simons, uno dei creativi più celebrati e apprezzati dell’industria della moda, è molto lontano dall’idea di stilista dispotico che si vede in molti film: Simons si presenta a lavoro con un normalissimo maglione blu, è gentile con tutti, arriva persino a piangere prima dello show. E se è anche vero che in fondo a ogni cliché si nasconde un fondo di verità – sarebbe forse arrivato il momento di parlare di tutte le altre verità sul mondo della moda.