
Il nuovo film Disney “Cruella” demonizza la moda? Il film con Emma Stone è bello ma continua a raccontare la moda tramite i soliti cliché
Arrivato su Disney Plus lo scorso venerdì, Cruella è stato un film particolare rispetto a quelli che si trovano sul catalogo Disney. Nella sfilza di remake live-action dei grandi classici a cartoni animati con cui intere generazioni sono cresciuti, il film è sicuramente una proposta più matura e dark – tanto più che è ancorata a una sorta di realtà storica, la Londra degli anni ’70, e riguarda un mondo più concreto che fiabesco: la moda. Il film ha indubbiamente i suoi fashion moments (uno in particolare, il nostro preferito, include un camion della spazzatura e un gigantesco strascico di decine di metri) ma una voce molto autorevole, quella di Vanessa Friedman, si è levata dalle pagine del The New York Times per accusare il film di propagare lo stereotipo di una moda “tossica”:
«E così continua la demonizzazione della moda; il suo ruolo di immagine di tutto ciò che è moralmente corrotto e venale nel mondo continua. È uno dei luoghi comuni più amati, anche se sempre più inani, di Hollywood. Da quando esistono film ambientati nell'industria della moda, quel mondo è stato ritratto come un pozzo nero dorato di caricature, rivalità infantili e crimini occasionali, con un sistema di valori contorto lontano dalla vita quotidiana – non importa se il film in questione sia una commedia, un dramedy, una satira o un musical».
Ma come si parla della moda in Cruella?
Ciò che il pubblico mainstream conosce della moda sono spesso i lati negativi: dalla soap opera che era diventata la vita della famiglia Gucci negli anni ’80 fino ai vari scandali sul mondo del modeling, arrivando fino a vicende recenti come il party berlinese di Bottega Veneta, la vicenda delle molestie di Alexander Wang e i “furti” di Balenciaga ai danni di designer indipendenti – molte delle notizie che hanno visibilità sono quelle meno piacevoli. Allo stesso tempo la realtà è più stratificata e complessa di così e spesso la si ritrova meglio rappresentata nei documentari. Uno dei migliori e più celebri è Dior and I, che racconta l’esordio di Raf Simons come creative director di Dior nel 2012. Simons, uno dei creativi più celebrati e apprezzati dell’industria della moda, è molto lontano dall’idea di stilista dispotico che si vede in molti film: Simons si presenta a lavoro con un normalissimo maglione blu, è gentile con tutti, arriva persino a piangere prima dello show. E se è anche vero che in fondo a ogni cliché si nasconde un fondo di verità – sarebbe forse arrivato il momento di parlare di tutte le altre verità sul mondo della moda.