
Perché gli archivi sono la più grande ricchezza dei brand Il nuovo main asset nella moda dei grandi conglomerati
Prima è toccato a Tiffany & Co., acquistato con fatica da LVMH, e Supreme, entrato in VF Corp dopo decenni di indipendenza. Poi c’è stato Stone Island, acquisito da Moncler con una mossa a sorpresa. Infine hanno cominciato a circolare le voci sul gruppo OTB e Jil Sander che fanno presagire una prossima acquisizione del brand da parte di Renzo Rosso. Verso la fine del 2020, sempre più brand storici ancora indipendenti preferiscono accorparsi a un qualche conglomerato, seguendo l’adagio che dice: «Nessuno vince da solo».
Nell’acquisizione di un brand, sono molti i fattori che concorrono a stabilirne il valore. Tra questi ci sono il posizionamento sul mercato e la performance commerciale ma c’è un terzo fattore che non solo è tanto rilevante quanto i primi due, ma che nel corso del 2021, se la politica di acquisizioni proseguirà, si rivelerà essere sempre più prezioso. Si tratta dell’archivio di un brand – quella massa di trademark, modelli, campioni, ricerche, bozzetti, stampe e design che costituisce il patrimonio genetico di ogni maison di moda.
Ma perché il valore dell’archivio dovrebbe andare aumentando, considerata già la sua centralità? Due motivi: il primo è la nascita di un movimento digitale di nome archival fashion, ossia un nuovo ecosistema di pagine social, showroom, archivi Instagram e personalità dell’ambiente che hanno riportato in auge, nell’internet talk, l’apprezzamento e la conoscenza minuziosa degli archivi dei più importanti brand di moda; dall’altro il nuovo amore del vintage che sembra essersi sviluppato nel pubblico negli ultimi anni, che parla sia alle issues della democraticità della moda che a quelle della sostenibilità, ma che soprattutto indica ai brand quali sono state in passate, e quali saranno di certo in futuro, le carte vincenti da giocarsi col pubblico.