
Com’era Gucci nei primi anni 2000? Ritratto di una moda che non c’è più
Per quasi otto anni ci siamo riempiti gli occhi e i ricordi dell’estetismo nostalgico ed esoterico che Alessandro Michele ha ideato per Gucci - così tanto in effetti che il ricordo di ciò che Gucci era tra la fine degli anni '90 e per tutto il primo decennio dei 2000 sta iniziando a sbiadire. E ora che Sabato De Sarno ha iniziato a rievocare ed esplorare i grandi classici della storia del brand, filtrandoli attraverso la lente contemporanea e minimalista della sua visione artistica, è bene esplorare l'evoluzione estetica del brand negli anni in cui l'assenza dei media digitali sviluppati come i nostri e di social media rendeva più difficile seguirne ogni mossa e collezione.
Non serve, per ora, raccontar troppo: basta osservare come sono cambiate le etichette del brand. Con Tom Ford e Frida Giannini, sotto il cui controllo Gucci era diventato sinonimo di un’estetica da jet-set, ovattata e minimalista, le etichette erano nere e sottili, quasi invisibili; sotto Alessandro Michele quelle stesse etichette si sono quadruplicate in misura, il nome di Gucci è diventato grande e nero, a contrasto col tessuto zigrinato e quasi opalescente su cui è cucito, circondato da un severo bordo scuro. Il passaggio fondamentale dalla vecchia alla nuova moda sta tutto qui – racchiuso in un’etichetta che è il simbolo più essenziale di uno shift che, più che riguardare i designer, riguarda la cultura che circonda la moda.
Fece tabula rasa di tutto ciò che la Giannini aveva già disegnato, persino dei casting e dell'assegnazione dei posti in sala e in pochi giorni assemblò una collezione che già possedeva, in nuce, quel mood eclettico, gender-fluid e ispirato al vintage che tutti conosciamo. Il 19 gennaio 2015 il pubblico rimase di stucco: un modello efebico, pallido, con lunghi capelli biondo cenere avanzò sulla passerella in un’ampia camicia rossa, al suo collo un nodo tipico delle bluse femminili, il pussy bow. In quel momento una nuova epoca era iniziata.