Chi influenza gli influencers? Ogni generazione ha le figure che ne definiscono i gusti

La figura dell’influencer gode di un doppio status nel mondo d’oggi. Da un lato sono le nuove celebrità dell’era dei social, dall’altro però sono spesso dei mercenari della moda, al soldo di qualunque brand che sia disposto a far loro regali o pagarli per indossare il proprio ultimo prodotto. Ma per restare sulla cresta dell’onda, devono muoversi in fretta per adattarsi al cambiamento repentino dei trend e, per farlo, loro stessi devono seguire e imitare le persone giuste, i pionieri che inventano i trend prima che questi vengano ingigantiti e trasmessi dai macro-influencer in un effetto a cascata che termina con il singolo consumatore. Questi pionieri sono insider del mondo della moda, cool kids che ronzano intorno ai designer e che spaziano fra diverse competenze e interessi diversi. Sono loro gli influencer degli influencer. Questi pionieri si trovano tutti all’incrocio fra indipendenza mediatica, controllo della propria narrativa pubblica e seguito personale di fan ottenuti senza pubblicità o altri trucchi all’infuori della loro stessa area d’influenza. Si tratta dunque di un ambiente ristretto, situato al di sopra della influencer bubble che domina su altri media ma non per questo più stabile.

Photo credits @nssmagazine
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Lil Durk
Josh Richards
Patia Borja
Burna Boy
Marcus Rashford
Michaela Coel
Steve Lacy
Bilal Hassani
Noname
Higher Brothers
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Il potere del tastemaker risiede nella sua credibilità e nell’originalità dei suoi contenuti, non nella sua fama o nei suoi soldi – anche se questi fattori rimangono necessari. Nel campo della moda questo significa possedere una combinazione di gusto estetico, status personale, disponibilità economica e networking. Le loro abitudini di acquisto, ad esempio, non sono legate all’hype e alla percepita scarsità di un prodotto ma al loro gusto personale, a differenza dei tipici influencer, ad esempio, non hanno bisogno di sponsarizzare questo o quel prodotto, né si occupano di fare pubblicità a nessun al di fuori di se stessi. 

A questo punto però sorge la principale problematica che caratterizza questo nuovo scenario. Le passate comunità di gatekeepers erano sì chiuse, scarsamente multiculturali e poco democratiche ma proprio questo conservatorismo faceva sì che le sue figure-chiave rimanessero sempre le stesse, con l’effetto di creare un’influenza più duratura e omogenea – oggi si può essere invece un pioniere culturale per un trimestre soltanto, e dunque lasciare un segno che verrà cancellato dal tastemaker successivo. Nel caso dell'Italia questo ricambio è ancora più rapido, considerato il ruolo di hub culturale che detiene Milano con il suo status di capitale dei creativi italiani - un ruolo che il lockdown non è riuscito ancora a strappare alla città.