Il futuro delle collaborazioni di moda è la cross settorialità Per restare rilevanti, i brand dovranno allontanarsi dal proprio settore d'appartenenza

È di qualche giorno fa l’annuncio che Virgil Abloh collaborerà con Mercedes-Benz ad un artwork in edizione limitata ispirato alla Mercedes-Benz G-Class, una partnership di cui non si conoscono ulteriori dettagli ma che rivela in modo inequivocabile in che direzione si sta muovendo l'industria della moda, così come i suoi rappresentanti più illustri. 

Da sempre valore fondante del mondo streetwear, successivamente diventato appannaggio del settore del lusso, negli ultimi quindici anni il concetto di collaborazione ha assunto aspetti sempre nuovi, fino a svuotarsi del suo valore originario. Dopo decenni di collaborazioni che hanno lasciato un segno indelebile sull'industria - e sulla percezione della stessa da parte del pubblico - e altrettante partnership dal valore discutibile, prive di significato o di un reale motivo a giustificare la loro esistenza, per restare rilevanti e per aprirsi ad un nuovo pubblico la strada da percorrere per i brand di moda va al di fuori dell'industria, sperimentando in ambiti e territori un tempo inesplorati. 

 

Il sogno di una moda democratica 

Nel 2004 H&M inaugurava una serie di collezioni firmate dai designer più prominenti del momento, iniziando per altro con Karl Lagerfeld. Da un lato uno dei creativi più influenti di sempre, ma legato ancora ad una visione della moda elitaria, esclusiva, si rivelava al passo con i tempi, accettando una partnership in grado di aprire (lui e) Chanel ad una nuova, vastissima fetta di pubblico; dall'altro, la collaborazione garantiva ad H&M una certa dignità, una sorta di miglioramento nella reputazione che negli ambienti della moda più alta era sempre mancato. Sono state poche le collaborazioni in grado di generare quel livello di interesse e di successo - quanto meno nell'ambito della moda mainstream - oltre al tentativo di realizzare almeno in parte il sogno di una moda democratica e quindi accessibile a molti. 

Si tratta senza dubbio di un'esigenza dettata da quella saturazione del mercato di cui sopra, ma più di tutto è il risultato di un'evoluzione del ruolo dei brand. Ad una casa di moda oggi è richiesto ben di più che vendere semplicemente vestiti, ciò che il consumatore cerca è una narrazione, un immaginario, l'idea di appartenenza ad un preciso spazio culturale e di mercato, che si dovrà tradurre in operazioni e partnership che travalicano i confini dell'industria della moda. Uno dei settori in cui i brand di moda si sono sempre cimentati è quello della ristorazione e dell'ospitalità, industrie in cui risulta più facile e immediato tradurre estetiche ed immaginari. Jacquemus è stato solo l'ultimo in ordine di tempo ad aggiungersi alla lista dei brand di moda proprietari di ristoranti e locali, prima di lui spiccano i successi di Prada con Marchesi, di Armani con gli omonimi hotel, di Burberry e Ralph Lauren con ristoranti e caffè. 

Fornire un'esperienza è oggi uno dei requisiti fondamentali per la costruzione di una brand reputation solida e duratura, un'esperienza che va oltre il mero acquisto, ma che si allarga anche ad altri ambiti della vita quotidiana. Virgil Abloh ha già dettato in che direzione si muoverà il trend, resta da capire quanti lo seguiranno.